
Sempre così fecondo per varietà d’esiti e movenze, l’inestricabile passo doppio di penna e cesoie, zappa e scrittura, che avvince molti letterati amanti delle piante si dispiega a tutto campo proprio nella coreografia dei loro giardini: spazi che ne incorniciano vite e opere, alimentando e scandendo il ritmo serrato dello spartirsi di energie e attenzioni in un tale concorrer di passioni.
E questo vale, sia che si tratti di un rifugio bucolico dove tornare per scrivere, alternando l’amore per le piante a quello per i viaggi (Rudyard Kipling), come di una palestra botanica dove testare trame di racconti gialli (Agatha Christie), magari per il tramite dell’alter ego letteraria Miss Marple tra citazioni floreali sugli effetti venefici di alcune piante, o ancora di un gabinetto vegetale, sorta di esilio botanico volontario dove condividere intenzione pedagogica e conforto dell’ordine del mondo vegetale (Jean-Jacques Rousseau). Si tratta altrimenti, di luoghi perno di un’intera esistenza trascorsa in amicizia con le piante, tra missive-erbario e boccioli di rosa cuciti al foglio di una poesia, che si fa viatico, forma di linguaggio naturato (Emily Dickinson). Spesso è un luogo ispiratore dove leggere in controluce scenari letterari come La porta stretta che si affaccia al fondo del giardino di Cuverville, non lontano da Dieppe sulla costa Normanna, con la serra fatta arrivare dall’Inghilterra, dove André Gide ricorda nei suoi diari dei momenti trascorsi insieme a Paul Valéry e al pittore Paul Albert Laurens. E senza peraltro dimenticare quei giardini pubblici volta a volta adottati come occasioni di passeggio botanico e ispirazione, dove magari incontrare i propri personaggi sulle panchine (Javier Marías).

Luoghi minori, talvolta remoti, che ci appaiono però subito familiari, ospiti inattesi di biografie di vite e di opere in filigrana di autrici e autori che lì si svelano giardinieri competenti, sperimentatori di novità esotiche. Dove si circondano di piante, curandole personalmente, seminando, trapiantando, innestando. Mettendo insomma le mani nella terra, sovente con la medesima maniera compulsiva riservata alla scrittura (Christie) – magari per rammaricarsi poi del troppo tempo dedicato al giardino a scapito della letteratura (Gide) – e anche a costo di investire i pochi denari dei primi guadagni letterari per sperimentare nuove varietà di rose (George Orwell).
Son luoghi tutti da visitare con la giuda intrigante del volume che Luca Bergamin dedica a I giardini degli scrittori. Viaggio nei luoghi botanici dell’ispirazione (EDT, pp. 334, € 16.00). Analizzati nel loro contesto paesaggistico e nello specifico dell’architettura vegetale, oltreché della duplice, reciproca relazione creativa con quei loro abitatori, e relative predilezioni botaniche – quelle di Henri James per il glicine e le rose, e però anche per tutte le vistose fioriture del giallo; il gusto per l’integrazione tra giardino e fiume e l’affetto per magnolie, ortensie, camelie e alberi da frutto della Christie, fino agli estremi della sua vera e propria mania per le felci.

Interpellati, anche sulla base di citazioni, letture, autobiografie, taccuini dal giardino, erbari, annotazioni su calendari, elenchi di semi e di attività, evidenziano saperi pratici, competenze giardiniere, corrispondenze, immaginazione e capacità progettuali. Nella disposizione delle rose – puntigliosamente denominate per tipologie in lettere e romanzi – del cottage dal tetto di paglia di Chawton, nella campagna dell’Hampshire sulla costa meridionale dell’Inghilterra, rifugio letterario degli ultimi otto anni di vita di Jane Austen che immagina un giardino un po’ selvatico, ma con elementi come grottesche, tempietti, siepi, viali di ghiaia, un frutteto con fragoline di bosco. Nei progetti dei giardini, come testimonia l’autografo di Kipling per la sua tenuta nel Sussex dove inventa un’articolazione di spazi che va dal frutteto bordato di siepi di tasso al Giardino del gelso, al roseto vicino allo stagno delle ninfee. O come nel caso di Monk’s House, opera botanica pervasa da una dimensione affettiva che nel 1919 Leonard Woolf crea insieme a Virginia e per lei non distante da Londra, con diverse stanze all’aperto differenziate per temi e colori di fioritura e uno studiolo per scrivere ricavato da una rimessa per attrezzi nel giardino, al margine del frutteto.

Anche il newyorkese Henry James, che dal 1897 si trasferisce nel Sussex, a Lamb House nella casa di stile georgiano scelta specialmente per gli spazi esterni, prevede un edificio autonomo, una Garden room, al centro del giardino sul retro progettato con l’amico specialista Alfred Parsons, a smentire così di fatto il suo iniziale timore quando in una lettera al fratello confessava “sono senza speranza riguardo al giardino”.
Oltre a quelli degli scrittori coltivatori, a definire le diverse gradazioni di prossimità con i loro luoghi d’elezione, Bergamin ordina i suoi reportage per categorie, distinguendo i giardini degli osservatori, degli esteti, quelli di idealizzatori, architetti disegnatori, e fin degli indifferenti apparenti.
Il cambio di scenari, contesti botanici, rifermenti letterari va ben oltre il godimento della rassegna. Ciascuno con il proprio genius, dal parco della tenuta abitata e coltivata da Lev Tolstoj vicino a Tula nella Russia europea così pervaso dal ricordo della madre al giardino di famiglia a Calcutta del nobel Rabindraht Tagore, animato di piante come sacrali presenze ispiratrici, dalla dimora con vigne nella Svizzera di Hermann Hesse alla casa con grande giardino a Milano dove Alessandro Manzoni pianta lui stesso molti alberi scegliendoli nello stile romantico imperante, a conferma di una sua competenza botanica, rivelata anche nelle accurate descrizioni di paesaggi ne I promessi sposi, che va assieme a una passione per i fruttiferi, gli innesti, gli esperimenti con gli agrumi, nonché per le recenti curiosità botaniche come cotone e caffè.
Con Neruda poi l’esuberante universo botanico esemplificato dalle svettanti araucarie, che tornano salde nei suoi versi, come in un legame tra creature viventi respira allo stesso ritmo delle abitazioni – animate di materiali, posizione, intrinseche facoltà espressive.

Ma anche soltanto la frequentazione più o meno assidua e ispirata da parte di alcuni scrittori diventa occasione per ripercorrere storia, fisionomie e vicende di giardini illustri. Vale per la scenografia dei Boboli fiorentini frequentati da Fëdor Dostoevskij specialmente nella parte del Giardino delle rose di Giove come già dal Marchese de Sade, passeggiatore abituale che pure li descrive.
Se i versi di Montale ispirati dalle false rovine e la Casa dei cigni introducono alla vicenda architettonica e botanica del Giardino inglese del parco di Caserta e gli sguardi a passeggio per i viali di Villa Medici di Chateaubriand si allargano al panoramico parco di presenze scultore e delizie botaniche, è all’indirizzo del Jardin de Luxembourg, con il portato della sua vicenda storica, il bacino ottagonale, il gioco di alberature e viali frequentati giorno e notte negli anni del suo esilio parigino da Emil Cioran, che vien ricondotta la sua cittadinanza letteraria, in una sorta di studiolo diffuso en plen air.

E se uno scrittore tutto politico come George Orwell, che pure annota meticolosamente le sue attività orticole in dettagliatissimi diari domestici, trova nei suoi due giardini un modo per radicarsi nel regno delle percezioni, anche riconoscendo loro una valenza politica, capace di farsi talora atto di resistenza, è nell’immersione in una diversa misura dello scorrere del tempo e nell’interazione stretta con un vivente plurale che perlopiù il giardino degli scrittori entra in risonanza.
Piantando i suoi alberi, Manzoni scrive “se vivo abbastanza verranno un giorno a trovarmi dalle finestre” e, sempre a farne persona, Virginia Woolf, nei suoi Diari, a proposito della sua casa immersa nel giardino, descrive evocando: “specie la nostra grande camera da pranzo salotto con le sue cinque finestre, le travi in mezzo a fiori e foglie che annuiscono tutto intorno a noi … Nel frutteto c’erano ventiquattro meli, alcuni un po’ pendenti, altri che venivano su dritti con un impeto che dal tronco si spandeva nei rami e andava a formare gocce rotonde rosse o gialle”.
Luca Bergamin, I giardini degli scrittori. Viaggio nei luoghi botanici dell’ispirazione, EDT, pp. 334, € 16.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 14, Supplemento de Il Manifesto del 27 aprile 2025
