Un viaggio in Italia per parchi e giardini

Il parco della Reggia di Monza

Da pochi giorni disponibile sulla rete, Garden route Italia è un portale  dedicato a far conoscere e valorizzare l’esteso, multiforme, ma spesso misconosciuto e trascurato, patrimonio di giardini e parchi che campeggiano in così tante città e diversi territori della nostra penisola (all’indirizzo www.gardenrouteitalia.it).

Uno strumento di supporto a quel turismo legato ai giardini che ancora stenta.
Promosso dall’Associazione Parchi e Giardini d’Italia, con il convinto sostegno di Lorenza Bonaccorsi, sottosegretario per il turismo del MiBACT, il portale ospita (per ora) 200 giardini. Chiediamo ad Alberta Campitelli, a lungo direttrice e curatore dell’Ufficio ville e parchi storici del comune di Roma, docente e organizzatrice culturale, e qui in qualità di vicepresidente dell’Associazione Parchi e Giardini d’Italia, di illustrarci il senso dell’iniziativa e in particolare dei percorsi tematici che costituiscono l’orditura del progetto.

Spesso, quando si parla di giardini, l’idea va al patrimonio storico legato alle ville che ce li hanno consegnati. Con un’immagine che rischia di risultare statica, prevalentemente legata al passato. Sappiamo che ogni giardino nelle sue molte vite è anche continua reinvenzione che ci coinvolge tutti. Come si evidenzia, come vien suggerita questa “contemporaneità” dei giardini nel progetto Garden route Italia?

Gli itinerari comprendono ovviamente i grandi giardini del passato, esempi indiscussi di armonia tra arte e natura, ma includono anche giardini amatoriali recenti, frutto della passione di privati, che si sono confrontati con la nostra grande tradizione a volte in modo davvero stupefacente, e questi giardini sono in gran parte poco noti e tutti da scoprire. Inoltre si dà conto di un fenomeno che si sta sempre più diffondendo, l’inserimento dell’arte contemporanea nei giardini. È una nuova declinazione dello storico rapporto tra sculture e disegno del verde che ha già prodotto, nel nostro paese, più di cento casi e che affonda le sue radici negli anni Settanta, quando la contestazione dell’arte commercializzata ha indotto a esposizioni all’aperto, fuori dagli spazi considerati elitari dei musei, per essere liberamente fruibile da tutti.

Esempi di rilievo sono, in Toscana, il Parco di Celle che dispiega una collezione straordinaria di opere, e il Giardino dei Tarocchi con le surreali e fantastiche figure di Niki de Saint Phalle. Rivisitazione della natura è Arte Sella a Borgo Valsugana in Trentino, dove nel bosco appaiono opere che conferiscono al luogo un segno quasi magico. E ancora, le sculture “liquide” di Giuseppe Penone che hanno dato identità a un settore anonimo del parco sabaudo di Venaria Reale, mentre a Catanzaro, all’interno di un grande parco dedicato alla biodiversità, si snoda un percorso di sculture immaginifiche e policrome. Non mancano esempi di dialogo con luoghi di connotazione storica: nei giardini di Boboli ci si imbatte in opere di Mitoraj e di Nagasawa e in un’altra villa medicea, La Magia, Anne e Patrick Poirier hanno inserito le loro opere nel disegno cinquecentesco del giardino.

Nella scelta dei percorsi tematici individuati per collegare tra loro i giardini, quali criteri avete adottato? Mi sembra che i nessi prescelti oltrepassino spesso l’universo dei giardini nel senso stretto?

Il grande storico dei giardini dell’antichità, Pierre Grimal, sosteneva che la storia del giardini consente di leggere l’evoluzione di una civiltà. Il giardino riflette infatti, al pari delle vicende politiche, il pensiero, i gusti, il modo di vivere del periodo. Nella scelta dei nostri itinerari abbiamo cercato appunto di rendere l’idea della complessità dell’universo dei giardini in tutte le sue connessioni, individuando delle chiavi di lettura storiche, sociali e ambientali. Così si comprende come i giardini di collezioni siano legati alle grandi esplorazioni ottocentesche che hanno introdotto esemplari esotici, o come a Venezia il passaggio da un’economia di mare a una economia di terra, a seguito della scoperta dell’America e dello spostamento dei traffici marittimi, abbia originato il proliferare di tante ville, luoghi di diletto ma anche centri di produzione agricola. Esemplare è il caso dell’affermazione settecentesca della Massoneria che ha trovato espressione privilegiata proprio nei giardini, popolati da arredi che segnano il percorso verso la “conoscenza”, oppure la “colonizzazione” della Toscana da parte degli anglo americani, nei primi decenni del secolo scorso, che ha originato il revival dello stile cosiddetto all’italiana, producendo mirabili giardini che ricreano i paesaggi dei dipinti rinascimentali.

Importante è anche l’itinerario dedicato ai giardini al femminile, che delinea un percorso di committenti e ideatrici che, accanto a molte personalità straniere, presenta interessanti figure come Lavinia Taverna, che da una landa desolata, ha saputo trarre il meraviglioso Giardino della Landriana.

A fronte di un interesse per il verde e il paesaggio che sempre più pare diffondersi, permane spesso invece su questi temi una scarsa sensibilità e incultura a livello istituzionale. Latita la consapevolezza di un patrimonio vivo che merita e necessita di essere continuativamente ripensato e curato. In che modo Garden route assume questa premessa che può peraltro essere innesco di una relazione virtuosa nel segno di un equilibrato sviluppo?

Il progetto è inserito nel programma di APGI, che opera in convenzione con il MiBACT, e che prevede, oltre alla valorizzazione, la formazione di personale adeguato a garantire una manutenzione corretta. É questa la sfida odierna, indurre nelle istituzioni la necessaria consapevolezza per gestire con professionalità un patrimonio quanto mai importante ma particolarmente fragile e che deve essere “curato” con costanza e competenza. Proprio per questo motivo uno dei requisiti per l’inserimento di un giardino nel sito è il suo stato di conservazione, mirando ad avviare una competizione virtuosa, sollecitando l’intervento pubblico ma anche quello dei privati che dispongono di giardini in molti casi esemplari. Un attento monitoraggio, con modalità ancora da definire, prevede anche la concessione di una “certificazione di qualità”, sul modello di quanto già avviene in Francia, a giardini che presentano uno stato ottimale sia dal punto di vista della manutenzione sia dei servizi offerti al pubblico. Inoltre riteniamo che la conoscenza del valore e del fascino dei nostri giardini sia un elemento che può indurre nel pubblico comportamenti rispettosi e consapevoli, facilitandone così la conservazione.

PERCORSI
Oltre duecento siti già visitabili e decine di itinerari proposti attraverso il portale Garden route Italia

L’Italia come una sorta di grande giardino. E i suoi giardini, disseminati nella varietà di climi e geografie culturali che caratterizza la nostra penisola, chiamati a raccontarne le contrade, nella loro estrema varietà di orizzonti, architetture, panorami culturali, vocazioni produttive.

Tra paesaggio e artificio, genio e governo dei luoghi, è di fatto una sorta di Grand tour dell’Italia dei giardini quello che ci viene proposto con l’iniziativa del portale Garden route Italia.

Un progetto avviato, in accordo con il MiBACT, dall’Associazione Parchi e Giardini d’Italia con l’obiettivo di mettere in rete un’offerta spesso dispersa e rilanciare la fruizione culturale e turistica dei parchi e dei giardini italiani, facendoli conoscere, oltre la cerchia ristretta degli appassionati, ai circuiti del turismo, al grande pubblico, come alle comunità locali magari con l’offerta di attività connesse, di carattere formativo e ludico, che si protraggano lungo l’intero arco del succedersi delle stagioni.

Nel sito appena lanciato, www.gardenrouteitalia.it,  che ospita già 200 giardini e presto si arricchirà di altri contenuti e nuove sezioni, nonché di una versione in inglese, vengono proposti 30 itinerari tematici e topografici (locali, interregionali e nazionali), secondo una serie di percorsi di lettura di carattere storico, botanico, artistico e paesaggistico. Dai giardini belvedere a quelli al femminile, dalle topografie in controluce dei paesaggi del vino, ai giardini dell’arte contemporanea.

Requisiti di qualità per il rilascio di una certificazione d’eccellenza sono stati individuati per consentire ai giardini di rientrare nel progetto: rilevanza e rappresentatività sul piano storico-artistico e botanico, accessibilità e stato di conservazione, manutenzione, integrità del rapporto con il contesto paesaggistico e offerta di servizi. In una relazione stretta di sinergia tra valorizzazione del patrimonio e sviluppo integrato e armonico delle ragioni dei territori.

Andrea Di Salvo,  Il Manifesto, giovedì 5 novembre 2020, Culture, p. 11

Nei paesaggi di roccia disegnati dal vento

All’insegna della convinzione che i luoghi costituiscano patrimoni di natura e memoria dei quali occorre prendersi cura per governarne il divenire, si inaugura il 24 ottobre, nel nuovo spazio espositivo dell’antica Chiesa di Santa Maria Nova, restaurato a Treviso su progetto di Tobia Scarpa, la mostra fotografico-documentaria Cappadocia. Il paesaggio nel grembo della roccia (fino al 10 gennaio 2021).

E così, l’assunto pur sempre originale e dirompente nella sua essenzialità, che si possa “premiare” un luogo particolarmente denso di valori – di natura, memoria, invenzione – porta quest’anno la trentunesima edizione del Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, promosso dalla Fondazione Benetton studi e ricerche, a illustrare le specificità della vicenda, questa volta, della Valle delle Rose e della Valle Rossa in Cappadocia. Due valli collegate da ripidi sentieri e scale ricavate nel terreno che corrono in forma quasi parallela profondamente incise nelle rocce vulcaniche dell’altopiano al centro della penisola anatolica.

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Gardens Policy

L’ecologia che cresce in giardino
Seppure osservata dal ridotto dei nostri obbligati spazi interni, o inseguita sui balconi, o negli scampoli di verde consentiti al nostro micropasseggiare, l’euforia floreale della primavera del fuori si impone, avvolgendoci nostro malgrado nel suo imperterrito, ciclico rinnovarsi, a farci sentir parte di un universo che normalmente, dandolo per scontato, ignoriamo. La mancanza di natura è un problema che ulteriormente risuona in questi tempi di segregazione. E non soltanto per chi si ritrova a vivere costretto in aree urbane incardinate attorno a un abitare fatto di uffici, banche, traffico, patrimoni immobiliari.

Il ParckFarm di Molenbeek-Saint-Jean, Belgio – c Lou-Vernin

Di questo irriducibile bisogno di natura il giardino in vario modo si è fatto via via interprete e mediatore. Come luogo privilegiato dell’esperienza polisensoriale, immergendoci nel flusso della metamorfosi continua, rende da presso palese il nostro partecipare delle combinazioni del vivente. Ma anche, e contemporaneamente in quanto “natura in artificio”, è la risultante, progettuale e operativa, del nostro desiderare come singoli e come collettività: sempre i giardini hanno indicato aspirazioni comuni, hanno preteso di raccontare il meglio delle società che essi illustrano.

Ora, il giardino si fa anche spazio privilegiato per leggere (e sperimentare) una riconsiderazione critica dell’altrimenti inossidabile assunto antropocentrico che vuole noi umani misura di tutto.

Si fa occasione per integrare il vivente in un’attenzione a tutto campo, interdisciplinare anche negli assunti delle cosiddette environmental humanities. Microcosmo di consapevolezza che ci proietta nella foresta di relazioni che ci include, il giardino ci induce a ripensare l’individualità all’interno della colonia ecologica di connessioni e conversazioni con altre specie.

Una sorta di cambio di paradigma riguarda oramai lo statuto del verde – in ogni caso fatto del coesistere di diversissime esperienze più o meno pop e raffinate, intime o collettive, estetiche o socialmente, criticamente connotate.

Un rinnovato interesse che, fin nel senso comune, paradossalmente arriva a intendere il giardino come metafora di un possibile, diverso modo di porsi di fronte all’evidenza dei limiti del modello di sviluppo basato sullo sfruttamento infinito delle risorse.

È ormai acquisita l’immagine del “giardino planetario” prospettata già molti anni fa dal paesaggista Gilles Clément, a dirci che il nostro pianeta è un universo chiuso nei confini della biosfera, dove ogni elemento è connesso in una logica di condivisione e collaborazione. Un giardino di cui tutti siamo chiamati a prenderci cura, operando come accorti giardinieri planetari. Con attenzione, responsabilità, rispetto.

C’è poi una nuova consapevolezza – esito anche degli sforzi di una divulgazione avvertita – sul come, nella sua irriducibile alterità, il mondo vegetale, evoluzionisticamente, ci suggerisca una serie di soluzioni totalmente diverse rispetto a quelle percorse dal mondo animale (è il caso del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso), quando non addirittura nuovi paradigmi per modelli di società (con il filosofo Emanuele Coccia).

Nel suo farsi custode del giardino e del pianeta, capace di ascoltare la natura, di assecondarla, seppure creativamente imparando a lasciarsi sorprendere e assieme a integrare nel progetto l’invenzione dell’imprevisto, il giardiniere prefigura con il suo agire un’etica della cura dove, come in un climax che si ripropone (il giardino cura il giardiniere che cura le piante), si individua la dialettica di una solidarietà istintiva che lega tra loro tutte le forme di vita (Brunon e Martella).

L’attualità in giardino di un’ecologia “planetaria” va di pari passo con l’affermarsi di un’estetica che si lega ai temi della biodiversità, della bassa manutenzione, della scarsità, del secco. Un’estetica che oltre lo snodo del giardino “naturale” vira in direzione di un’etica intesa a promuovere, in senso lato, biodiversità e, assieme all’uso sostenibile delle risorse, a privilegiare pratiche di restituzione.

Oltre che come fatto estetico o botanico, nel giardino si intrecciano dimensione interiore e sociale, logiche proprie degli spazi individuali, intimi e attivismo. Investigato per il suo potere di rigenerazione mentale, suscitatore com’è di esperienze intense, relazioni estatiche, emozioni, sentimenti, stati d’animo, in un concerto di affetti che per il suo tramite, instauriamo anche con noi stessi, il giardino è al tempo stesso occasione di pratiche collettive che esigono e inducono una partecipazione attiva, continuativa e risoluta, con relativa assunzione di responsabilità. Che si traducono in esperienze di produzione di cibo su base locale, dinamiche di distribuzione e consumo, processi identitari, associativi, di integrazione sociale e culturale, educazione ecologica. Finché, dall’individuo alla collettività, il valore trasformativo delle pratiche di giardinaggio, che si moltiplica specialmente su scala urbana, può farsi strategia ambientale (Di Paola).

Mentre, al di là di funzioni e valenze convenzionali degli spazi di verde pubblico urbano cui siamo abituati a pensare, attorno all’orto e al giardino si moltiplicano progetti collettivi di riappropriazione, trasformazione, rigenerazione dello spazio pubblico, iniziative di cittadinanza attiva, reinvenzione e riutilizzo di luoghi abbandonati, residuali. Giardini temporanei, orti condivisi. Spesso occasioni di rinegoziazione del bene comune e di messa a verifica di soggettività, processi identitari, di sperimentazione di forme di dialogo e coesistenza (Lambertini).

Nel suo mutuo innescarsi di naturalezza e artificio, oltre a confrontarci produttivamente con il tema dell’impermanenza, il giardino, soprattutto, continuamente progetta di abitare il durante.

In maniera tanto più urgente oggi, di fronte alle conseguenze di un indiscriminato sfruttamento delle risorse, con l’evidenza del nesso di causalità che stringe povertà e sofferenze del pianeta, il giardino come principio di responsabilità ci aiuta a rimettere in discussione non soltanto un sistema di produzione e “sviluppo”, ma un sistema di conoscenza fondato su un paradigma che spiega ogni fenomeno, inclusi vita e pensiero, a partire da processi chimici e meccanici.
Verso, invece, una visione circolare, in una prospettiva a lungo termine.
E, nella prospettiva unitaria del giardino, che con la sua capacità di intermediazione e incontro è versato alla diversità, non semplicemente vita, ma “buona vita”, come diritto universale (Venturi Ferriolo).

Consigli di lettura
Assieme alla constatazione che dal nostro “rallentare” la natura ha soltanto da guadagnare e che una serie di ricadute positive sull’ambiente già si avvertono in tempi rapidissimi, la riflessione sul ruolo del giardino come grimaldello interpretativo, prisma attraverso il quale leggere e esprimere il bisogno di natura che tutti più o meno consapevolmente ci connota, potrà tornarci davvero molto utile per riconsiderare, nella nostra vita post reclusione, senso e funzioni degli spazi esterni, quelli pubblici come pure come pure quelli intermedi, dai cortili ai giardini condominiali, dai terrazzi agli orti condivisi.
Alcuni suggerimenti di lettura. Tra le opere di Gilles Clément, Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, DeriveApprodi; Il giardino in movimento. Da La Valée al giardino planetario, Quodlibet; Piccola pedagogia dell’erba. Riflessioni sul Giardino Planetario a cura di Louisa Jones, DeriveApprodi; Giardino, paesaggio e genio naturale, Quodlibet.
Il punto di vista del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, tra le altre opere, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, con Alessandra Viola, Giunti editore e quello del botanico Jacques Tassin, Come pensano le piante, Edizioni Sonda, nonché del filosofo Emanuele Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino.
E procedendo per coppie, Hervé Brunon, Giardini di saggezza in occidente, DeriveApprodi e Marco Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto. Coltivare, raccontare e vivere un giardino, Ponte alle Grazie. Daniele Mongera, Niente di naturale, Officina Naturalis Editore e Pia Pera, L’orto di un perdigiorno, Ponte alle grazie. Carlos Magdalena, Il Messia delle piante. Alla ricerca delle specie più rare del mondo, Aboca Edizioni e Santiago Beruete, Giardinosofia, Ponte alle Grazie.
Infine, Marcello Di Paola, Giardini globali. Una filosofia dell’ambientalismo urbano, Luiss University Press; Anna Lambertini, Urban beauty!, Editrice Compositori e Massimo Venturi Ferriolo Oltre il giardino, Einaudi.

Andrea Di Salvo su Il manifesto del 14-5-2020, p. 10

Città accessibili con l’housing sociale

Cooperativa Andria

Le forme dell’abitare cooperativo e collaborativo possono portare al rafforzamento di nuovi modelli di convivenza anche in un momento di “distanziamento” come quello attuale. Nella generale riconsiderazione del rilievo della responsabilità collettiva, i valori espressi dal sistema cooperativo in relazione all’abitare sociale rappresentano, concretamente, uno snodo di welfare. Se gli interventi di housing sociale sono stati elemento trainante delle iniziative destinate a garantire il diritto a una città accessibile e a migliorare la qualità della vita nei contesti urbani e nelle periferie, una serie di analisi hanno accompagnato questa operatività con momenti di dialogo e ascolto con le Cooperative di abitanti.

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Geografie urbane

Mappa (in)ospitale per un’autobiografia
con una intervista a Nausicaa Pezzoni per il progetto La città sraficata

La città sradicata è un progetto di lunga data condotto nell’ambito del Politecnico di Milano e del Centro Studi Assenza di Milano che introduce concetti come abitare in movimento e transitorietà in un’urbanistica che solitamente non li contempla, orientata com’è all’abitare stanziale.

In particolare l’indagine si occupa di temporaneità dell’abitare in città, facendo parlare i migranti al primo approdo, come figure emblematiche di questo vivere transitorio. Quindi di una relazione con la città improntata a dare significato agli spazi urbani più che non ad appropriarsene.

Animatrice dell’impresa, l’architetto e docente di progettazione urbana, Nausicaa Pezzoni (è in uscita tra l’altro una nuova edizione del libro che racconta la vicenda: La città sradicata. L’idea di città attraverso lo sguardo e il segno dell’altro, O barra O edizioni).

La ricerca è stata condotta a partire da tutti i luoghi di primo approdo a Milano, dormitori mense ambulatori, intervistando anche molti operatori dei servizi, e costruendo una mappa del primo approdo che ancora la città non possiede.
Mappa che è invece strumento fondamentale di autonomia per conoscere la città e potervi accedere.

A cento migranti è stato chiesto di disegnare la loro mappa della città. Con un foglio di carta e matite colorate.
Usando un metodo che deriva dallo studio di Kevin Lynch sull’immagine della città, per poi interpretarne i risultati, con diverse chiavi di lettura…

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La forza sotterranea del paesaggio

Architetti, agronomi, geofisici e urbanisti critici a convegno presso la Fondazione Benetton
Con un’intervista agli artisti Andrea Caretto | Raffaella Spagna

Il 20 e il 21 febbraio 2020 a Treviso, presso la Fondazione Benetton, la sedicesima edizione delle Giornate internazionali di studio sul paesaggio vedrà confrontarsi specialisti e operatori sul tema Suolo come paesaggio. Nature, attraversamenti e immersioni, nuove topografie.

Acceleratore di Particelle Catastali, 2008, installazione e azione pubblica per Paesaggio Zero, I Biennale dell’Osservatorio del Paesaggio dei Parchi del Po e della Collina torinese.
Foto di Stefano Serra

Dove l’attenzione è quindi posta proprio sul suolo “come” paesaggio. Nelle parole di Luigi Latini, presidente e animatore del comitato scientifico della Fondazione assieme a Simonetta Zanon, il suolo viene assunto come “tessuto connettivo, nutrimento e processo vitale che accompagna la nostra esperienza di vita, dimensione fisica ed estetica nella quale risiede la sostanza dei luoghi abitati e il senso della nostra appartenenza al paesaggio”.

Introdotte dal direttore Marco Tamaro e arricchite da alcune riflessioni intese a declinare il tema anche tramite esperienze artistiche o uno sguardo filosofico, le relazioni di diversi specialisti esploreranno le Nature del suolo, estendendo l’indagine dalla complessità ecologica di questa infrastruttura di regolazione ambientale fino alle implicazioni di natura scientifica, sociale, culturale, estetica (dall’urbanista Rosario Pavia ai suoli extra terresti di Giacomo Certini).

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Alla Venaria, una mostra al seguito dei viaggiatori per giardini

H. Robert, La Loggia di Villa Medici a Roma 1803 ca. Parigi, Musée du Louvre

Quale miglior metafora se non quella del viaggio – con il suo procedere conoscitivo per via di assonanze, paragoni, contrapposizioni tra differenze e la sua capacità trasformativa della consapevolezza – per restituire e condividere gli echi di quell’esperienza d’illusione in un luogo d’artificio che è pur sempre l’immersione polisensoriale in un giardino?

Ecco che allora proprio il tema del viaggio vien proposto come innesco narrativo e originale taglio critico per strutturare la mostra che si apre oggi nelle Sale delle Arti alla Reggia di Venaria, a Torino, intitolata appunto al Viaggio nei giardini d’Europa. Da Le Nôtre a Henry James (fino al 20 ottobre).

http://www.lavenaria.it/it/mostre/viaggio-giardini-deuropa

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Radicepura. Identikit dei “giardini produttivi”

Radicepura Garden Festival – Andy Sturgeon, foto Alfio Garozzo

Se elemento distintivo delle tante forme in cui si incarna l’idea di giardino mediterraneo è la varietà e la vitalità delle specie vegetali nel loro intessere elaborate relazioni con acqua e clima, fatte di specifiche forme, colori essenziali, oli volatili, resta però determinante la funzione produttiva, delle specie privilegiate e, culturalmente, per via di elaborata naturalezza, della ricreazione dei sensi.

Non è un caso dunque che la seconda edizione della biennale Radicepura, il festival di giardini dedicato al paesaggio mediterraneo appena inaugurato in Sicilia, a Giarre, sia intitolata quest’anno ai Giardini produttivi. In un’accezione ampia che – dai frutti all’ossigeno restituito, passando per profumi, riflessioni, sensazioni, invenzioni – include utilità, piacere estetico, benessere interiore, socialità condivise.

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Tra ricerca artistica e indagine paesaggistica. The Ground We Have in Common

In un fecondo combinarsi di ricerca artistica e indagine paesaggistica la mostra The Ground We Have in Common – fino alla fine di giugno alle Gallerie delle Prigioni di Treviso – coltiva il tema della sempre più ineludibile presa di consapevolezza dell’inestricabile, coevolutivo concerto di affetti che ci lega al pianeta.

Una consapevolezza attiva, di preoccupazioni e gesti che, iscrivendosi in un nuovo sistema di paritarie relazioni con il contesto biosociale, ispirano pratiche di “cura della terra”.
Curata in questo caso da Patrizia Boschiero e Nicolas Vamvouklis la mostra nasce dall’occasione del conferimento del Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino 2019, in questa sua trentesima edizione, a I giardini del tè di Dazhangshan situati nella contea di Wuyuan, nella parte nord-orientale della provincia del Jiangxi, nella Cina meridionale.

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