All’Orto botanico di Roma per Franco Zagari

Orto Botanico – Roma, 17-18 gennaio 2024. In onore di Franco Zagari
Questo è paesaggio
Intervento di Andrea Di Salvo

La valenza tutta politica e vorrei dire sovversiva del paesaggio emerge rivelata dalle tante preziose bellezze che indossa come anche dalle tante cicatrici che scopre. Valenza politica da leggere tanto nell’urgenza degli avvenimenti dell’oggi quanto nella placida irrequietezza, di quei tempi lunghi che ci è così difficile assumere come misura

il Paesaggio è questione politica e, proprio nella sua irriducibilità a definizioni chiuse con cui Franco ha da sempre condotto il suo corpo a corpo, è uno strumento che ha la plasticità per interagire, davvero, con la complessità di un reale in continuo divenire.

Interagire, come forse non riesce più tanto la politica, per come almeno la abbiamo a lungo pensata (Collana Habitus, Deriveapprodi editore).

Per rendersi conto della pervasività con la quale vien chiamato in causa il concetto di paesaggio, basta verificare frequenze di utilizzo e occorrenze del termine in tanti ambiti diversi. Un utilizzo che quasi sempre finisce però per esser precisato, declinato…con un aggettivo. O molto spesso per essere impiegato in senso traslato. Paesaggio urbano, paesaggio sonoro, paesaggio interiore, della guerra, paesaggio del vino, paesaggio educativo, paesaggi dell’aldilà

I rischi più evidenti sono la perdita di pregnanza e la sovraesposizione.
Sempre più spesso al paesaggio si chiede di prefigurare per supplenza un modello sostitutivo di società verso cui orientarsi.
Altro rischio è la tendenza all’accaparramento in esclusiva del paesaggio, una ortodossia dell’uso da parte di alcuni (rischio dal quale ovviamente, non vanno esenti neanche i paesaggisti).

Quindi, paesaggio come questione politica. Ma le crisi che di questi tempi constatiamo numerose, spesso esito di una globalizzazione che procede omologando e che al tempo stesso però frammenta e sradica territori e singolarità, queste crisi son prodotte non tanto dall’uomo in astratto (quello dell’antropocene), quanto da specifici modelli di dominio storicamente determinati.

Il paesaggio ci aiuta a Interrogarci su cosa oggi qualifichi il nostro con-vivere, il nostro abitare, cosa costituisca il nostro ben essere.
Domande che abbiamo finito per porci sempre più di rado. Forse considerandole ovvie. Perché immersi in una dominante dimensione produttivo-consumistica, che finisce per assecondare lo status quo, pretendendoci semplici consumatori, osservatori passivi.

La vitalità euristica, conoscitiva, del paesaggio, resta invece legata al suo esser generatore di interrogativi, piuttosto che non risposta univoca.

Credo siano parole di Franco Zagari, o da lui ispirate quelle che auspicano un approccio non tanto teso a risolvere i problemi, quanto a lavorare ai loro margini: “porsi accanto” a un processo cognitivo dove intuito e esperienza giocano in armonia nell’elaborare … in base a ibridazioni e incertezze; “spostare” i termini di lettura da piani consueti a piani creativi.

Per altro verso, il paesaggio, come sempre Franco più occasioni ci ha in mostrato nella pratica, non può mai dirsi neutrale.

È questione politica – e, proprio per questo, presuppone di affermarsi soltanto insieme al diffondersi di una “cultura del paesaggio”.
Cultura del paesaggio che presuppone una educazione alla consapevolezza del paesaggio. Consapevolezza non scontata, anzi tutta da enucleare e alimentare

A fronte di un analfabetismo che malgrado tanti sforzi nell’ambito della formazione, superiore, tecnica e universitaria, nell’universo comunicativo di studiosi e appassionati sui più vari media e sui territori, in alcune filiere del florovivaismo, nell’attivismo dei singoli e delle associazioni, si misura dal rilievo – diciamo così – e dalla presenza del tema del paesaggio nel senso comune, perlopiù nelle cristallizzazioni discorsive che lo riducono a oggetto di conservazione e decoro, valorizzazione; marketing, marchio per identità di luogo, volano per consumi culturali, ostaggio di leggi e decreti applicativi che ne ignorano le grammatiche e la sintassi del progetto.

Come avviene per le piante (che riusciamo a vedere soltanto come uno sfondo indistinto su cui si stagliano protagonismi altri) così pure, si può parlare di cecità del paesaggio. Di un analfabetismo, anche affettivo nei suoi confronti. Con l’aggravante della distorsione di vivere ormai buona parte del nostro percepire il mondo attraverso uno schermo.

Il paesaggio si fa carico invece di una dimensione sempre più spesso omessa. Quella corporale, Il rapporto diretto, immediato, fisico con gli elementi sensibili del mondo terrestre. Il paesaggio è esperienza polisensoriale.
Prima di vederlo, noi abitiamo un paesaggio. L’esperienza sensibile del paesaggio si dilata oltre la concezione puramente “visuale”. Per quanto tutt’ora egemonica.
Occorre considerare l’intrinseca psichicità del movimento che non accetta separazione tra sensoriale, motorio, cognitivo. L’invito è a considerare una spazialità del contatto, della partecipazione con l’ambiente esterno (Besse). Mentre si parla di Mindscape (Lingiardi).
L’esperienza del paesaggio è un’esperienza primaria, che accade nel corpo, precede il linguaggio. Perciò il paesaggio è una delle fonti di quel sapere implicito che vien prima della coscienza e della ragione, generatore di Habitus (Regni).
Abitare un paesaggio è condizione del nostro stare al mondo. farne parte significa che lì attingiamo la nostra identità

Siamo Corporalità in movimento.

Dalla vita cellulare totipotente alle molte contemporaneità del paesaggio di cui ci dice Massimo Venturi Ferriolo, tutto è movimento. Anche se su scale e velocità tra di loro diversissime

Certo, corporalità in movimento, in relazione a un punto di visuale.
Con una metafora abusata si può ben evidenziare come, se il mondo visto dal finestrino di un noi in movimento accelerato ci sembra che fugga sempre a gran velocità, questa condizione va assieme alla fissità del vincolo del punto di vista. La fissità obbligata dello sguardo [a gran velocita non ci possiamo auspicabilmente distrarre] e del dover continuamente riconfigurare in un senso, in una sintesi di senso ciò che andiamo vedendo consapevoli che molto in ogni caso sfugge: in una obbligatoria accettazione del limite.

Rallentando…, si tratta di quel che vien chiamato sapere paesaggistico (Besse), qualcosa di più di un’intelligenza pratica quotidiana del mondo e dello spazio, una familiarità fondata sull’uso.

Quel che si diceva prima è che occorre portarla a consapevolezza. Fino a attingere una responsabile consapevolezza del nostro scegliere ad ogni passo una direzione: agire comunque, anche se talvolta vorremmo illuderci che a ciò è possibile sottrarci – il famoso quanto costa non fare, di Franco Zagari.

Tutta fondata sulla relazione è quindi una possibile, auspicabile etica dell’azione del paesaggio – che alcuni ritengono addirittura “consustanziale al paesaggio” (Brunon).
Un’azione-reazione, un tipo di corrispondenza che per il tramite del paesaggio (prima ancora, del giardino) intratteniamo con il mondo.
Una relazione paesaggistica che lega in modo interattivo e interdipendente società e paesaggio, le cui pratiche implicano una tessitura continua di connessioni tra noi stessi, le nature del vivente, il territorio.

Così, Il tema del paesaggio (e del giardino) irrompe nell’ambito delle ricerche che variamente si rifanno agli Environnemental studies che nell’analisi della società intendono includere il non umano: in un dialogo fra vari generi di persone: alcune umane, altre non umane, persone senza differenziazioni ontologiche gerarchiche.
Un dialogo basato piuttosto su parentele e solidarietà che non su separazione e dominazione, fatto di pratiche che, sperimentando un continuo, inesausto negoziato, sempre alla ricerca di equilibri, definiscono appunto un modo di essere al mondo nei termini relazionali di un mutuo determinarsi attraverso attenzione e reciprocità, una mutua “rispettosa amicizia”.
Persone tutte: come quando, quasi a farsi teatro (Turri), il paesaggio, allargato ad agenti umani e non umani, esprime e sintetizza la trama di queste relazioni, ospitandole. Ma essendo al tempo stesso interprete e implicato co-protagonista lui stesso, in qualità di paesaggio-soggetto, con una sua qual certa autonomia, cui riconoscere statuto personale.

Tra le tante lezioni di Franco ritorna spesso l’invito a partir sempre assumendo le molteplicità del paesaggio: di questo sistema vivente di relazioni sempre in divenire, al tempo stesso strumento di lettura dell’insieme, opportunità del convergere di pensiero e azione, sfida tesa alla costruzione progettuale, sociale, politica. Mai neutrale.
E, oltre l’incrementale ansia definitoria – spesso pervasa da una nota lieve di fertile ironia – l’invito di Franco Zagari all’accettazione anche dei tratti contraddittori di fisionomie stravolte. E quello a considerare il paesaggio nel suo continuo evolversi, trasformarsi e quindi nella sua costitutiva contemporaneità.
Contemporaneità che Franco ha contribuito a render viva, attuale, in un gioco continuo di bilancio e rilancio. Con la sua spiccata vocazione alla sperimentazione (che Franco condivideva con il paesaggio), il suo muoversi sul confine di diversi saperi; il suo piacere di ibridare esigenze, vocazioni, narrazioni, senso condiviso, autorappresentazioni, linguaggi della contemporaneità, suggestioni delle arti.

Ma sempre in un procedere che privilegia lo studio delle relazioni più che non dei singolari oggetti in sé.

E sempre affinando il prediletto grimaldello del progetto: strumento-estensione-evoluzione plastica, che concorre a strutturare la percezione e il pensiero umano per modificar l’ambiente: si potrebbe dire: qualcosa che viaggia sullo stesso filo di quello stretto, ancestrale rapporto mano-pietra (che, secondo l’archeologia cognitiva di Lambros Malafouris, presiede alla fabbricazione di selci come strumenti litici da parte dei nostri progenitori).

Ma qui mi fermo. Sarà meglio.
E vi saluto con alcuni versi di una poesia di Valerio Magrelli che ogni volta mi fa pensare a Franco, in tanti modi diversi: è parte di un testo apparso in Nature e venature, del 1987.
Versi che isolo a partire da uno strumentale riferimento al fumo.
Fumo che però, in questo caso, evoca piuttosto, l’aura di ciascuno, la nostra anima, e di certo il nostro anelito.
Versi che dicono

Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo.

Il titolo della poesia recita E mi meraviglio
E questo sorprenderci, sempre in un altrove rispetto a dove lo si aspetta, era per me il tratto più “rasserenante”, anche affettivamente parlando, di un Franco che si sperperava spesso con lieve grazia gratuita

Grazie a tutti e a Franco
Andrea Di Salvo

Umano e non. Familiarità molteplici, in giardino

Tra le molteplici forme di familiarità con tutto quanto in mancanza di una miglior definizione chiamiamo natura, risaltano la passione per il giardino e la sua pratica. Che, in quanto tramite, specialmente con il mondo delle piante, come pure degli animali e degli agenti che lo vivificano, finiscono per esser spesso evocati come snodi che riattivano e moltiplicano quel sistema di relazioni di cui l’uomo è, come tutti, parte. Un groviglio di interdipendenze ecologiche, in implicazione profonda con il non-umano. Un flusso che lega tutte le forme della rete del vivente in un continuum di cui fanno parte il paesaggio animale e la società dei vegetali, la microfauna cosmopolita, le alleanze di batteri e radici, minerali, fiumi, montagne in un’irriducibile parentela in continuo divenire. E, ancora, funghi e micorrize, generatori e rigeneratori di interi ecosistemi, creature queer capaci di inventare nuovi modi di convivere, specialmente in occasione di eventi catastrofici, crisi.

Come luogo privilegiato dell’esperienza polisensoriale che ci immerge nel flusso ininterrotto della metamorfosi, il giardino rende da presso palese questo nostro partecipare delle combinazioni del vivente. In vari innesti e relazioni eccentriche. Da rintracciare magari nella microfisica quotidiana della dimestichezza di tanti con le piante cosiddette da appartamento, o da leggersi nel pensiero sottostante e nelle emozioni innescate da realizzazioni-manifesto come nel caso del giardino-mondo avviato dal paesaggista Gilles Clément, oggi son trent’anni, nei sette ettari del Domaine de Rayole, nel sud della Francia. Una sorta di Index planetario delle regioni del mondo biologicamente assimilabili, per quanto tra loro davvero distanti: il Giardino dei Mediterranei. Al plurale.

La perenne dialettica della storia del giardino tra controllo e aperture, artificio e varie “naturalità” è d’altro canto parte e anticipazione proprio di questa nuova, complessiva, attenzione. Pratica trasformativa, autoriale, sintesi di proiezioni e usi sociali, nonché risultante della dimensione estetica dell’invenzione e del progetto, il giardino è però anche, specialmente, opera a firma plurale, all’incrocio delle potenzialità dei luoghi e dei diversi protagonisti coautori – animali, vegetali, suoli, stagionalità e temporalità. Occasione di un’inarrivabile incontro tra impermanenza, divenire delle identità, contemporaneità del molteplice. Introduce a una pluralità di soggetti, persone non umane di cui seguir le tracce, ricostruire abitudini e prospettive indagandone le differenti arti di abitare il mondo, da frequentare consapevoli dell’interdipendenza nelle relazioni che con essi intratteniamo, studiare modi per rilevare e conservarne personalità e diritti (come comincia a esser scritto nelle costituzioni di alcuni Stati).

Phoebe Cheong

In un inesausto negoziato con i vari protagonisti del vivente, il giardino vive sempre alla ricerca di nuovi equilibri. Innescando una permanente riconsiderazione critica delle forme di stare, assieme agli altri, al mondo. Oltre la competizione e l’esclusione reciproca.

Ed è proprio quanto le piante ci suggeriscono con la loro soggettività plurale. Proprio loro che, semplicemente esistendo, hanno fatto il mondo così come noi lo conosciamo. Creando l’atmosfera dove siamo immersi, esercitando in esclusiva la loro capacità autotrofica di trasformare energia e materia in nutrimento, costantemente reinventando presupposti della vita, condizioni ambientali, risorse energetiche, alimentari, mediche. Eppure, dal nostro umano, animale, punto di vista, cominciamo appena a riflettere sulla loro alterità, sui loro fondamenti biologici, come pure sul loro successo evolutivo. In una sorta di paradossale strabismo, a fronte della loro pervasiva onnipresenza, troppo spesso ancora stentiamo a sbalzar le piante dal fondo dell’indistinzione dove le relega la nostra disattenzione e ignoranza. Mentre, con il progredire della ricerca, orientata anche dal riflesso di un loro diverso modo di porre domande, apprendiamo, assumendole via via nella loro irriducibilità a indagarne l’inesauribile inventiva. La capacità di percepire consapevolmente il mondo, rilevando ed elaborando da parte di radici e parti aeree dati e movimenti deliberatamente intesi a un obiettivo (arrampicarsi, ripiegarsi delle foglie di fronte a un pericolo, chiudersi per catturare una preda nel caso delle carnivore), la memoria che integri esperienza e presente, apprendimento, interazione e comunicazione (acustica, chimica, sotterranea), la valutazione del rischio e capacità di decidere (quando fiorire, quando germogliare), e, nella distinzione del sé e degli altri, strategie sociali in forma di comportamenti competitivi o cooperativi.

Per il tramite del giardino, un tale dilatarsi di sguardi, punti di osservazione e consapevolezze, viaggia ben oltre. Nella sua dimensione molecolare, fin nell’ambito urbano entro cui la maggior parte degli umani si affolla in nuovi ecosistemi dove rinsaldare benefici ambientali, servizi ecosistemici, qualità estetica e salvaguardia della biodiversità. Lezione che introduce a una consapevolezza ecologica presto dilatata a prefigurare un giardinaggio del paesaggio, una diversa strategia ambientale. Giardini e spazi verdi urbani come corridoi di transito. Pullulare di minihabitat capaci di ospitare e supportare anche quella vita animale che spesso ignoriamo o disdegniamo. Da alimentare invece di occasioni per costruire l’alfabeto di una “ecologia della riconciliazione” tra specie differenti che, assieme alla maggior padronanza di un’etichetta del selvatico, ci avvia verso una diplomazia della coabitazione.

E di certo collegato al densificarsi dell’urbanizzazione, è l’impennarsi, tra molte implicazioni, di quel fenomeno diffuso e di segno globale che è la ormai pervasiva febbre vegetale per le piante da appartamento. Che pure vanta una lunga storia, ma, ben oltre il mercato dei vasi, i giardini d’inverno, i collezionismi e le serre riscaldate, si è ormai diffusa ovunque.. Tanto che, pur considerando l’ampia quota di superficiale voracità delle mille mode che rimbalzano dai media (Instagram, in particolare), dove al “verde vegetale” si ricorre come salvifica compensazione di una liofilizzata idea di natura, il dato è quello di un mercato globale delle piante da appartamento che nel 2021 valeva quasi 18 miliardi di dollari e che, con un tasso di crescita cumulativo stimato del 10,24% annuo tra il 2020 e il 2025, risulta tutt’ora in piena espansione, specialmente tra i giovani (cfr. qui)

Dai salotti ai ballatoi, agli uffici dove nel secondo dopoguerra arrivano numerose, assieme alle donne che varcano il mondo del lavoro, le piante pervadono poi i più diversi spazi abitativi. Quotidianamente accudite tra sguardi accorati e piccoli rituali o flagrantemente dimenticate – costituiscono inediti paesaggi casalinghi: da “viaggio in una stanza attraverso il mondo (e le sue piante)”.

Differenti per tipologie, esigenze di coltivazione e universi di provenienza, ci accompagnano in un felice intrecciarsi di esperienze contemplative, intime storie di reciproco accudirsi, ineffabili lezioni di appartenenza al vivente. Nel loro cosmopolita assortimento, inventano nuovi universi, ibridi microclimi, strani sistemi di relazione interspecifici.

Astratte, molto spesso dal loro contesto, a lungo le piante son state impiegate in giardino in base ad accostamenti e criteri compositivi coloristici, formali, “da pittore”. Piegate a interpretare altri linguaggi artistici.

Assieme a nuove competenze scientifiche sul carattere ecologico delle associazioni vegetali spontanee, con il volgere del secolo scorso una nuova sensibilità ha suggerito un nuovo, diverso approccio al giardino. Un naturalismo che si ispira all’osservazione del modo in cui le piante si associano in natura e che le intende nei loro individuali caratteri di struttura, consistenza, riflesso e trasparenza, movimento, perduranza. Riconoscendo loro una precipua espressività da ricondurre a segno estetico. Fin nel disfacimento, giocando compositivamente con la bellezza delle sfiorite silhouette invernali.

Un passo ancora, nel richiamato Giardino dei Mediterranei, è quando, abbandonata ogni classica tassonomia, dieci paesaggi accomunati da un clima analogo, dalle coste della California alle Canarie, dall’Australia all’Africa del sud, si ritrovano in un unico giardino a raccontarne la brulicante biodiversità.

Nella riserva del Domaine de Rayole si è liberi di passeggiare inventando il proprio itinerario nel deserto della presenza di etichette botaniche che in genere, rassicuranti, ci accompagnano in luoghi come questo.

Piante di paesaggi diversi – separate in natura da diversi fusi orari, a clima temperato caldo, arido o subtropicale, come la sudamericana Erythrina crista-galli o la spinosissima Acacia colletioides, endemica del sud dell’Australia – si assiepano, raccolte qui trent’anni fa dal paesaggista dell’ecologia umanista Gilles Clément. E qui, con studio, lasciate alla loro naturale evoluzione come un messaggio in bottiglia verso un futuro di climi, prevedibilmente, già allora, ancor più secchi.

Anticipando la contaminazione e il “valore dell’imprevisto” come forme di collaborazione progettuale, poi confermate nella lezione delle erbe vagabonde, Clément evidenziava nella resistenza naturale di quelle piante dagli elementi netti, scolpiti, continuamente adattate all’asprezza di luci, colori, territori, il corrispettivo di un’estetica dell’imperfezione, del riposo estivo di quei protagonisti vegetali a crescita intermittente.

Una pausa tutta mediterranea.

E tutto ciò, prima di discendere la baia del Rayole fino alla piccola spiaggia, dove – undicesimo giardino del Domaine – ci aspetta la prateria sottomarina di posidonia che, in relazione a precise condizioni di temperatura dell’acqua, fiorisce, se riesce, ogni quattro anni.

Domaine du rayol, Jardin d’Amerique

Pubblicato per la serie estiva, Umano non-umano e raccontato da Andrea Di Salvo su Il Manifesto del 25 agosto 2023

Un viaggio in Italia per parchi e giardini

Il parco della Reggia di Monza

Da pochi giorni disponibile sulla rete, Garden route Italia è un portale  dedicato a far conoscere e valorizzare l’esteso, multiforme, ma spesso misconosciuto e trascurato, patrimonio di giardini e parchi che campeggiano in così tante città e diversi territori della nostra penisola (all’indirizzo www.gardenrouteitalia.it).

Uno strumento di supporto a quel turismo legato ai giardini che ancora stenta.
Promosso dall’Associazione Parchi e Giardini d’Italia, con il convinto sostegno di Lorenza Bonaccorsi, sottosegretario per il turismo del MiBACT, il portale ospita (per ora) 200 giardini. Chiediamo ad Alberta Campitelli, a lungo direttrice e curatore dell’Ufficio ville e parchi storici del comune di Roma, docente e organizzatrice culturale, e qui in qualità di vicepresidente dell’Associazione Parchi e Giardini d’Italia, di illustrarci il senso dell’iniziativa e in particolare dei percorsi tematici che costituiscono l’orditura del progetto.

Spesso, quando si parla di giardini, l’idea va al patrimonio storico legato alle ville che ce li hanno consegnati. Con un’immagine che rischia di risultare statica, prevalentemente legata al passato. Sappiamo che ogni giardino nelle sue molte vite è anche continua reinvenzione che ci coinvolge tutti. Come si evidenzia, come vien suggerita questa “contemporaneità” dei giardini nel progetto Garden route Italia?

Gli itinerari comprendono ovviamente i grandi giardini del passato, esempi indiscussi di armonia tra arte e natura, ma includono anche giardini amatoriali recenti, frutto della passione di privati, che si sono confrontati con la nostra grande tradizione a volte in modo davvero stupefacente, e questi giardini sono in gran parte poco noti e tutti da scoprire. Inoltre si dà conto di un fenomeno che si sta sempre più diffondendo, l’inserimento dell’arte contemporanea nei giardini. È una nuova declinazione dello storico rapporto tra sculture e disegno del verde che ha già prodotto, nel nostro paese, più di cento casi e che affonda le sue radici negli anni Settanta, quando la contestazione dell’arte commercializzata ha indotto a esposizioni all’aperto, fuori dagli spazi considerati elitari dei musei, per essere liberamente fruibile da tutti.

Esempi di rilievo sono, in Toscana, il Parco di Celle che dispiega una collezione straordinaria di opere, e il Giardino dei Tarocchi con le surreali e fantastiche figure di Niki de Saint Phalle. Rivisitazione della natura è Arte Sella a Borgo Valsugana in Trentino, dove nel bosco appaiono opere che conferiscono al luogo un segno quasi magico. E ancora, le sculture “liquide” di Giuseppe Penone che hanno dato identità a un settore anonimo del parco sabaudo di Venaria Reale, mentre a Catanzaro, all’interno di un grande parco dedicato alla biodiversità, si snoda un percorso di sculture immaginifiche e policrome. Non mancano esempi di dialogo con luoghi di connotazione storica: nei giardini di Boboli ci si imbatte in opere di Mitoraj e di Nagasawa e in un’altra villa medicea, La Magia, Anne e Patrick Poirier hanno inserito le loro opere nel disegno cinquecentesco del giardino.

Nella scelta dei percorsi tematici individuati per collegare tra loro i giardini, quali criteri avete adottato? Mi sembra che i nessi prescelti oltrepassino spesso l’universo dei giardini nel senso stretto?

Il grande storico dei giardini dell’antichità, Pierre Grimal, sosteneva che la storia del giardini consente di leggere l’evoluzione di una civiltà. Il giardino riflette infatti, al pari delle vicende politiche, il pensiero, i gusti, il modo di vivere del periodo. Nella scelta dei nostri itinerari abbiamo cercato appunto di rendere l’idea della complessità dell’universo dei giardini in tutte le sue connessioni, individuando delle chiavi di lettura storiche, sociali e ambientali. Così si comprende come i giardini di collezioni siano legati alle grandi esplorazioni ottocentesche che hanno introdotto esemplari esotici, o come a Venezia il passaggio da un’economia di mare a una economia di terra, a seguito della scoperta dell’America e dello spostamento dei traffici marittimi, abbia originato il proliferare di tante ville, luoghi di diletto ma anche centri di produzione agricola. Esemplare è il caso dell’affermazione settecentesca della Massoneria che ha trovato espressione privilegiata proprio nei giardini, popolati da arredi che segnano il percorso verso la “conoscenza”, oppure la “colonizzazione” della Toscana da parte degli anglo americani, nei primi decenni del secolo scorso, che ha originato il revival dello stile cosiddetto all’italiana, producendo mirabili giardini che ricreano i paesaggi dei dipinti rinascimentali.

Importante è anche l’itinerario dedicato ai giardini al femminile, che delinea un percorso di committenti e ideatrici che, accanto a molte personalità straniere, presenta interessanti figure come Lavinia Taverna, che da una landa desolata, ha saputo trarre il meraviglioso Giardino della Landriana.

A fronte di un interesse per il verde e il paesaggio che sempre più pare diffondersi, permane spesso invece su questi temi una scarsa sensibilità e incultura a livello istituzionale. Latita la consapevolezza di un patrimonio vivo che merita e necessita di essere continuativamente ripensato e curato. In che modo Garden route assume questa premessa che può peraltro essere innesco di una relazione virtuosa nel segno di un equilibrato sviluppo?

Il progetto è inserito nel programma di APGI, che opera in convenzione con il MiBACT, e che prevede, oltre alla valorizzazione, la formazione di personale adeguato a garantire una manutenzione corretta. É questa la sfida odierna, indurre nelle istituzioni la necessaria consapevolezza per gestire con professionalità un patrimonio quanto mai importante ma particolarmente fragile e che deve essere “curato” con costanza e competenza. Proprio per questo motivo uno dei requisiti per l’inserimento di un giardino nel sito è il suo stato di conservazione, mirando ad avviare una competizione virtuosa, sollecitando l’intervento pubblico ma anche quello dei privati che dispongono di giardini in molti casi esemplari. Un attento monitoraggio, con modalità ancora da definire, prevede anche la concessione di una “certificazione di qualità”, sul modello di quanto già avviene in Francia, a giardini che presentano uno stato ottimale sia dal punto di vista della manutenzione sia dei servizi offerti al pubblico. Inoltre riteniamo che la conoscenza del valore e del fascino dei nostri giardini sia un elemento che può indurre nel pubblico comportamenti rispettosi e consapevoli, facilitandone così la conservazione.

PERCORSI
Oltre duecento siti già visitabili e decine di itinerari proposti attraverso il portale Garden route Italia

L’Italia come una sorta di grande giardino. E i suoi giardini, disseminati nella varietà di climi e geografie culturali che caratterizza la nostra penisola, chiamati a raccontarne le contrade, nella loro estrema varietà di orizzonti, architetture, panorami culturali, vocazioni produttive.

Tra paesaggio e artificio, genio e governo dei luoghi, è di fatto una sorta di Grand tour dell’Italia dei giardini quello che ci viene proposto con l’iniziativa del portale Garden route Italia.

Un progetto avviato, in accordo con il MiBACT, dall’Associazione Parchi e Giardini d’Italia con l’obiettivo di mettere in rete un’offerta spesso dispersa e rilanciare la fruizione culturale e turistica dei parchi e dei giardini italiani, facendoli conoscere, oltre la cerchia ristretta degli appassionati, ai circuiti del turismo, al grande pubblico, come alle comunità locali magari con l’offerta di attività connesse, di carattere formativo e ludico, che si protraggano lungo l’intero arco del succedersi delle stagioni.

Nel sito appena lanciato, www.gardenrouteitalia.it,  che ospita già 200 giardini e presto si arricchirà di altri contenuti e nuove sezioni, nonché di una versione in inglese, vengono proposti 30 itinerari tematici e topografici (locali, interregionali e nazionali), secondo una serie di percorsi di lettura di carattere storico, botanico, artistico e paesaggistico. Dai giardini belvedere a quelli al femminile, dalle topografie in controluce dei paesaggi del vino, ai giardini dell’arte contemporanea.

Requisiti di qualità per il rilascio di una certificazione d’eccellenza sono stati individuati per consentire ai giardini di rientrare nel progetto: rilevanza e rappresentatività sul piano storico-artistico e botanico, accessibilità e stato di conservazione, manutenzione, integrità del rapporto con il contesto paesaggistico e offerta di servizi. In una relazione stretta di sinergia tra valorizzazione del patrimonio e sviluppo integrato e armonico delle ragioni dei territori.

Andrea Di Salvo,  Il Manifesto, giovedì 5 novembre 2020, Culture, p. 11

Nei paesaggi di roccia disegnati dal vento

All’insegna della convinzione che i luoghi costituiscano patrimoni di natura e memoria dei quali occorre prendersi cura per governarne il divenire, si inaugura il 24 ottobre, nel nuovo spazio espositivo dell’antica Chiesa di Santa Maria Nova, restaurato a Treviso su progetto di Tobia Scarpa, la mostra fotografico-documentaria Cappadocia. Il paesaggio nel grembo della roccia (fino al 10 gennaio 2021).

E così, l’assunto pur sempre originale e dirompente nella sua essenzialità, che si possa “premiare” un luogo particolarmente denso di valori – di natura, memoria, invenzione – porta quest’anno la trentunesima edizione del Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, promosso dalla Fondazione Benetton studi e ricerche, a illustrare le specificità della vicenda, questa volta, della Valle delle Rose e della Valle Rossa in Cappadocia. Due valli collegate da ripidi sentieri e scale ricavate nel terreno che corrono in forma quasi parallela profondamente incise nelle rocce vulcaniche dell’altopiano al centro della penisola anatolica.

Leggi tutto “Nei paesaggi di roccia disegnati dal vento”

Gardens Policy

L’ecologia che cresce in giardino
Seppure osservata dal ridotto dei nostri obbligati spazi interni, o inseguita sui balconi, o negli scampoli di verde consentiti al nostro micropasseggiare, l’euforia floreale della primavera del fuori si impone, avvolgendoci nostro malgrado nel suo imperterrito, ciclico rinnovarsi, a farci sentir parte di un universo che normalmente, dandolo per scontato, ignoriamo. La mancanza di natura è un problema che ulteriormente risuona in questi tempi di segregazione. E non soltanto per chi si ritrova a vivere costretto in aree urbane incardinate attorno a un abitare fatto di uffici, banche, traffico, patrimoni immobiliari.

Il ParckFarm di Molenbeek-Saint-Jean, Belgio – c Lou-Vernin

Di questo irriducibile bisogno di natura il giardino in vario modo si è fatto via via interprete e mediatore. Come luogo privilegiato dell’esperienza polisensoriale, immergendoci nel flusso della metamorfosi continua, rende da presso palese il nostro partecipare delle combinazioni del vivente. Ma anche, e contemporaneamente in quanto “natura in artificio”, è la risultante, progettuale e operativa, del nostro desiderare come singoli e come collettività: sempre i giardini hanno indicato aspirazioni comuni, hanno preteso di raccontare il meglio delle società che essi illustrano.

Ora, il giardino si fa anche spazio privilegiato per leggere (e sperimentare) una riconsiderazione critica dell’altrimenti inossidabile assunto antropocentrico che vuole noi umani misura di tutto.

Si fa occasione per integrare il vivente in un’attenzione a tutto campo, interdisciplinare anche negli assunti delle cosiddette environmental humanities. Microcosmo di consapevolezza che ci proietta nella foresta di relazioni che ci include, il giardino ci induce a ripensare l’individualità all’interno della colonia ecologica di connessioni e conversazioni con altre specie.

Una sorta di cambio di paradigma riguarda oramai lo statuto del verde – in ogni caso fatto del coesistere di diversissime esperienze più o meno pop e raffinate, intime o collettive, estetiche o socialmente, criticamente connotate.

Un rinnovato interesse che, fin nel senso comune, paradossalmente arriva a intendere il giardino come metafora di un possibile, diverso modo di porsi di fronte all’evidenza dei limiti del modello di sviluppo basato sullo sfruttamento infinito delle risorse.

È ormai acquisita l’immagine del “giardino planetario” prospettata già molti anni fa dal paesaggista Gilles Clément, a dirci che il nostro pianeta è un universo chiuso nei confini della biosfera, dove ogni elemento è connesso in una logica di condivisione e collaborazione. Un giardino di cui tutti siamo chiamati a prenderci cura, operando come accorti giardinieri planetari. Con attenzione, responsabilità, rispetto.

C’è poi una nuova consapevolezza – esito anche degli sforzi di una divulgazione avvertita – sul come, nella sua irriducibile alterità, il mondo vegetale, evoluzionisticamente, ci suggerisca una serie di soluzioni totalmente diverse rispetto a quelle percorse dal mondo animale (è il caso del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso), quando non addirittura nuovi paradigmi per modelli di società (con il filosofo Emanuele Coccia).

Nel suo farsi custode del giardino e del pianeta, capace di ascoltare la natura, di assecondarla, seppure creativamente imparando a lasciarsi sorprendere e assieme a integrare nel progetto l’invenzione dell’imprevisto, il giardiniere prefigura con il suo agire un’etica della cura dove, come in un climax che si ripropone (il giardino cura il giardiniere che cura le piante), si individua la dialettica di una solidarietà istintiva che lega tra loro tutte le forme di vita (Brunon e Martella).

L’attualità in giardino di un’ecologia “planetaria” va di pari passo con l’affermarsi di un’estetica che si lega ai temi della biodiversità, della bassa manutenzione, della scarsità, del secco. Un’estetica che oltre lo snodo del giardino “naturale” vira in direzione di un’etica intesa a promuovere, in senso lato, biodiversità e, assieme all’uso sostenibile delle risorse, a privilegiare pratiche di restituzione.

Oltre che come fatto estetico o botanico, nel giardino si intrecciano dimensione interiore e sociale, logiche proprie degli spazi individuali, intimi e attivismo. Investigato per il suo potere di rigenerazione mentale, suscitatore com’è di esperienze intense, relazioni estatiche, emozioni, sentimenti, stati d’animo, in un concerto di affetti che per il suo tramite, instauriamo anche con noi stessi, il giardino è al tempo stesso occasione di pratiche collettive che esigono e inducono una partecipazione attiva, continuativa e risoluta, con relativa assunzione di responsabilità. Che si traducono in esperienze di produzione di cibo su base locale, dinamiche di distribuzione e consumo, processi identitari, associativi, di integrazione sociale e culturale, educazione ecologica. Finché, dall’individuo alla collettività, il valore trasformativo delle pratiche di giardinaggio, che si moltiplica specialmente su scala urbana, può farsi strategia ambientale (Di Paola).

Mentre, al di là di funzioni e valenze convenzionali degli spazi di verde pubblico urbano cui siamo abituati a pensare, attorno all’orto e al giardino si moltiplicano progetti collettivi di riappropriazione, trasformazione, rigenerazione dello spazio pubblico, iniziative di cittadinanza attiva, reinvenzione e riutilizzo di luoghi abbandonati, residuali. Giardini temporanei, orti condivisi. Spesso occasioni di rinegoziazione del bene comune e di messa a verifica di soggettività, processi identitari, di sperimentazione di forme di dialogo e coesistenza (Lambertini).

Nel suo mutuo innescarsi di naturalezza e artificio, oltre a confrontarci produttivamente con il tema dell’impermanenza, il giardino, soprattutto, continuamente progetta di abitare il durante.

In maniera tanto più urgente oggi, di fronte alle conseguenze di un indiscriminato sfruttamento delle risorse, con l’evidenza del nesso di causalità che stringe povertà e sofferenze del pianeta, il giardino come principio di responsabilità ci aiuta a rimettere in discussione non soltanto un sistema di produzione e “sviluppo”, ma un sistema di conoscenza fondato su un paradigma che spiega ogni fenomeno, inclusi vita e pensiero, a partire da processi chimici e meccanici.
Verso, invece, una visione circolare, in una prospettiva a lungo termine.
E, nella prospettiva unitaria del giardino, che con la sua capacità di intermediazione e incontro è versato alla diversità, non semplicemente vita, ma “buona vita”, come diritto universale (Venturi Ferriolo).

Consigli di lettura
Assieme alla constatazione che dal nostro “rallentare” la natura ha soltanto da guadagnare e che una serie di ricadute positive sull’ambiente già si avvertono in tempi rapidissimi, la riflessione sul ruolo del giardino come grimaldello interpretativo, prisma attraverso il quale leggere e esprimere il bisogno di natura che tutti più o meno consapevolmente ci connota, potrà tornarci davvero molto utile per riconsiderare, nella nostra vita post reclusione, senso e funzioni degli spazi esterni, quelli pubblici come pure come pure quelli intermedi, dai cortili ai giardini condominiali, dai terrazzi agli orti condivisi.
Alcuni suggerimenti di lettura. Tra le opere di Gilles Clément, Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, DeriveApprodi; Il giardino in movimento. Da La Valée al giardino planetario, Quodlibet; Piccola pedagogia dell’erba. Riflessioni sul Giardino Planetario a cura di Louisa Jones, DeriveApprodi; Giardino, paesaggio e genio naturale, Quodlibet.
Il punto di vista del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, tra le altre opere, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, con Alessandra Viola, Giunti editore e quello del botanico Jacques Tassin, Come pensano le piante, Edizioni Sonda, nonché del filosofo Emanuele Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino.
E procedendo per coppie, Hervé Brunon, Giardini di saggezza in occidente, DeriveApprodi e Marco Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto. Coltivare, raccontare e vivere un giardino, Ponte alle Grazie. Daniele Mongera, Niente di naturale, Officina Naturalis Editore e Pia Pera, L’orto di un perdigiorno, Ponte alle grazie. Carlos Magdalena, Il Messia delle piante. Alla ricerca delle specie più rare del mondo, Aboca Edizioni e Santiago Beruete, Giardinosofia, Ponte alle Grazie.
Infine, Marcello Di Paola, Giardini globali. Una filosofia dell’ambientalismo urbano, Luiss University Press; Anna Lambertini, Urban beauty!, Editrice Compositori e Massimo Venturi Ferriolo Oltre il giardino, Einaudi.

Andrea Di Salvo su Il manifesto del 14-5-2020, p. 10

Città accessibili con l’housing sociale

Cooperativa Andria

Le forme dell’abitare cooperativo e collaborativo possono portare al rafforzamento di nuovi modelli di convivenza anche in un momento di “distanziamento” come quello attuale. Nella generale riconsiderazione del rilievo della responsabilità collettiva, i valori espressi dal sistema cooperativo in relazione all’abitare sociale rappresentano, concretamente, uno snodo di welfare. Se gli interventi di housing sociale sono stati elemento trainante delle iniziative destinate a garantire il diritto a una città accessibile e a migliorare la qualità della vita nei contesti urbani e nelle periferie, una serie di analisi hanno accompagnato questa operatività con momenti di dialogo e ascolto con le Cooperative di abitanti.

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Geografie urbane

Mappa (in)ospitale per un’autobiografia
con una intervista a Nausicaa Pezzoni per il progetto La città sraficata

La città sradicata è un progetto di lunga data condotto nell’ambito del Politecnico di Milano e del Centro Studi Assenza di Milano che introduce concetti come abitare in movimento e transitorietà in un’urbanistica che solitamente non li contempla, orientata com’è all’abitare stanziale.

In particolare l’indagine si occupa di temporaneità dell’abitare in città, facendo parlare i migranti al primo approdo, come figure emblematiche di questo vivere transitorio. Quindi di una relazione con la città improntata a dare significato agli spazi urbani più che non ad appropriarsene.

Animatrice dell’impresa, l’architetto e docente di progettazione urbana, Nausicaa Pezzoni (è in uscita tra l’altro una nuova edizione del libro che racconta la vicenda: La città sradicata. L’idea di città attraverso lo sguardo e il segno dell’altro, O barra O edizioni).

La ricerca è stata condotta a partire da tutti i luoghi di primo approdo a Milano, dormitori mense ambulatori, intervistando anche molti operatori dei servizi, e costruendo una mappa del primo approdo che ancora la città non possiede.
Mappa che è invece strumento fondamentale di autonomia per conoscere la città e potervi accedere.

A cento migranti è stato chiesto di disegnare la loro mappa della città. Con un foglio di carta e matite colorate.
Usando un metodo che deriva dallo studio di Kevin Lynch sull’immagine della città, per poi interpretarne i risultati, con diverse chiavi di lettura…

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La forza sotterranea del paesaggio

Architetti, agronomi, geofisici e urbanisti critici a convegno presso la Fondazione Benetton
Con un’intervista agli artisti Andrea Caretto | Raffaella Spagna

Il 20 e il 21 febbraio 2020 a Treviso, presso la Fondazione Benetton, la sedicesima edizione delle Giornate internazionali di studio sul paesaggio vedrà confrontarsi specialisti e operatori sul tema Suolo come paesaggio. Nature, attraversamenti e immersioni, nuove topografie.

Acceleratore di Particelle Catastali, 2008, installazione e azione pubblica per Paesaggio Zero, I Biennale dell’Osservatorio del Paesaggio dei Parchi del Po e della Collina torinese.
Foto di Stefano Serra

Dove l’attenzione è quindi posta proprio sul suolo “come” paesaggio. Nelle parole di Luigi Latini, presidente e animatore del comitato scientifico della Fondazione assieme a Simonetta Zanon, il suolo viene assunto come “tessuto connettivo, nutrimento e processo vitale che accompagna la nostra esperienza di vita, dimensione fisica ed estetica nella quale risiede la sostanza dei luoghi abitati e il senso della nostra appartenenza al paesaggio”.

Introdotte dal direttore Marco Tamaro e arricchite da alcune riflessioni intese a declinare il tema anche tramite esperienze artistiche o uno sguardo filosofico, le relazioni di diversi specialisti esploreranno le Nature del suolo, estendendo l’indagine dalla complessità ecologica di questa infrastruttura di regolazione ambientale fino alle implicazioni di natura scientifica, sociale, culturale, estetica (dall’urbanista Rosario Pavia ai suoli extra terresti di Giacomo Certini).

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Alla Venaria, una mostra al seguito dei viaggiatori per giardini

H. Robert, La Loggia di Villa Medici a Roma 1803 ca. Parigi, Musée du Louvre

Quale miglior metafora se non quella del viaggio – con il suo procedere conoscitivo per via di assonanze, paragoni, contrapposizioni tra differenze e la sua capacità trasformativa della consapevolezza – per restituire e condividere gli echi di quell’esperienza d’illusione in un luogo d’artificio che è pur sempre l’immersione polisensoriale in un giardino?

Ecco che allora proprio il tema del viaggio vien proposto come innesco narrativo e originale taglio critico per strutturare la mostra che si apre oggi nelle Sale delle Arti alla Reggia di Venaria, a Torino, intitolata appunto al Viaggio nei giardini d’Europa. Da Le Nôtre a Henry James (fino al 20 ottobre).

http://www.lavenaria.it/it/mostre/viaggio-giardini-deuropa

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Radicepura. Identikit dei “giardini produttivi”

Radicepura Garden Festival – Andy Sturgeon, foto Alfio Garozzo

Se elemento distintivo delle tante forme in cui si incarna l’idea di giardino mediterraneo è la varietà e la vitalità delle specie vegetali nel loro intessere elaborate relazioni con acqua e clima, fatte di specifiche forme, colori essenziali, oli volatili, resta però determinante la funzione produttiva, delle specie privilegiate e, culturalmente, per via di elaborata naturalezza, della ricreazione dei sensi.

Non è un caso dunque che la seconda edizione della biennale Radicepura, il festival di giardini dedicato al paesaggio mediterraneo appena inaugurato in Sicilia, a Giarre, sia intitolata quest’anno ai Giardini produttivi. In un’accezione ampia che – dai frutti all’ossigeno restituito, passando per profumi, riflessioni, sensazioni, invenzioni – include utilità, piacere estetico, benessere interiore, socialità condivise.

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