Seppure con grande difficoltà, da alcuni decenni si va ormai delineando una sorta di declinazione vegetale per tutta una serie di temi di studio e ambiti di ricerca, sovente ridotti invece in formulazioni esemplate su un sistema di valori e una visione del vivente prevalentemente occidentale, zoomorfa, antropocentrica. E che costringe e semplifica ogni tentativo di lettura dell’alterità delle piante.
Così, talvolta con accenti maldestri, capita di leggere di fitolingua o fitomemoria, consapevolezza biologica, intelligenza vegetale.
A partire dal volger del secolo scorso e con recenti, grandi accelerazioni, la ricerca e l’attenzione per questi ambiti del mondo vegetale si è andata infatti dispiegando in molte, diverse direzioni. Magari con passi falsi – come per gli esiti della pubblicazione di un testo, diventato purtroppo best seller nel 1973 su La vita segreta delle piante che assortiva scienza e leggende new age – o nell’orbita incombente del paradigma genetico.
Con l’affermarsi e il diffondersi di tecnologie e strumentazioni sempre più sofisticate, nonché di una più ampia considerazione del vivente alla luce dell’incrocio tra scienze naturali, umane e sociali, è andato così emergendo un panorama dell’universo vegetale ricco di nuove acquisizioni, fino al dilatarsi talvolta controverso di fisionomie e frontiere stesse del soggetto di indagine e con un focus particolare sul comportamento delle piante.
Una frontiera in movimento che la giornalista ambientale Zoë Schlanger si incarica ora di ripercorrere in prima persona nel suo Le mangiatrici di luce. Il mondo invisibile dell’intelligenza delle piante, Einaudi, pp. 313, € 19, dove, in diversi incontri sul campo, tra questioni poste in sequenze serrate, resoconti di esperimenti e interviste in laboratorio e in foresta, dà conto per un ampio pubblico di come in questi ultimi decenni botanici e biochimici, studiosi delle relazioni ecologiche, fisiologi vegetali, ma anche filosofi ed ecologi del comportamento, e perfino antropologi che si occupano della cultura dei ricercatori impegnati negli studi del comportamento vegetale, siano andati interrogandosi e discutendo, sub specie vegetale, di consapevolezza e conoscenza dell’altro da sé da parte delle piante, competenze linguistiche (per via di un articolato lessico di composti volatili) e forme di comunicazione (chimica, forse elettrica) anche inter specifiche, individualità, riconoscimento parentale, interiorità e memorizzazione, delle loro capacità di raccogliere e coordinare informazioni e derivarne risposte conseguenti, preferenziali; di come facciano ricorso a strategie quali mimetismo e mutualismo, fluidità sessuale, della flessibilità e pluralità delle loro relazioni.
Dagli esempi puntuali di una relazione particolarmente stretta con i suoni di una pianta della foresta pluviale sud est di Cuba che tramite un apposito petalo riflette ultrasuoni per indirizzare i pipistrelli verso il polline (salvo poi modificare l’angolazione dopo che il fiore lo ha scaricato); al caso della Nasa poissoniana, nelle Ande peruviane, capace di memorizzare gli intervalli di tempo tra le visite degli impollinatori e prevedere quando starà nuovamente per riceverne, così da operare scelte oculate; alle ragioni di comportamenti consociativi come quelli dei fiori di astro e verga d’oro, rispettivamente, porpora e giallo, che, crescendo vicini, amplificano, per ciascuno, le attenzioni ricevute dalle api, facendo della bellezza una forma di comunicazione; e, più in generale, ai mille modi di percepire mutamenti lievissimi dell’ambiente e ricavarne informazioni per agire differentemente a seconda dei contesti, tutto è un dialogo continuo di dinamiche anche interspecifiche del tutto impercettibili per noi che suggerisce forse un cambio di prospettiva capace di assumere in una prospettiva d’insieme le piante come organismi multidimensionali, in costante movimento, con i loro tempi e la loro mobilità limitata, ma capaci di diffondersi colonizzando tutti i continenti, sistemi adattativi complessi in continua interazione biologica con l’ambiente.
Dove una serie di riflessioni a cavallo tra la capacità delle piante di valutare le condizioni in cui si trovano e di cambiare per adattarvisi – la loro agentività e la plasticità estrema di quelle invasive –, le fluidità delle loro strategie riproduttive, il facile travalicare i confini interspecie, la socialità complessa che è della capacità delle radici di comportarsi come uno sciame, inducono nello sfumare dei confini ad adottare una molteplicità di punti di vista che consideri ogni organismo come un ecosistema in relazione al resto, avviandoci ad accogliere le piante nella nostra immaginazione etica, con il rilievo del diritto che, allargando la sua sfera a gruppi di nuovi soggetti, finisca per dotare anche loro di personalità, fin giuridica.
Zoë Schlanger, Le mangiatrici di luce. Il mondo invisibile dell’intelligenza delle piante, Einaudi, pp. 313, € 19, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 52 Supplemento de Il Manifesto del 19 gennaio 2025