L’intimità dell’arrampicarsi sugli alberi

La mia vita con gli alberi di Karine Marsilly si muove con efficacia secondo il modulo narrativo del racconto autobiografico di un saper fare che, oltre la maestria del mestiere, finisce per riverberarsi in una complessiva visione del mondo.

Un modo di operare che si fa orizzonte di pensiero, filosofia di vita, dove quei saperi e quelle pratiche s’incarnano tra predilezioni, scelte di vita, incontri più o meno fortuiti e fortunati (Einaudi, pp 171, € 18,50, con illustrazioni di Anna Regge).

Con un calco linguistico di cui non si sentiva il bisogno abbinato a un’espressione che genericamente rinvia all’arrampicarsi sugli alberi, il sottotitolo recita Come si diventa un’arborista tree-climber, tentando, non a caso a fatica,  di definire un ambito d’intervento in effetti sospeso. Tra il paradosso che in molti casi vede la cura degli alberi affidata a potature – magari chirurgiche – e abbattimenti, e la particolarità di un intervento da presso, che si fa quasi intimo in ragione di quell’arrampicarvisi per via di corde e moschetti.

Così, anche il racconto delle tecnicalità di una professione riconosciuta, dove lo è, soltanto da una ventina di anni – e in particolare tramite la voce di una delle ancora rare donne in un ambiente perlopiù, anche culturalmente, maschile – introduce all’etica di una cura-potatura al servizio del benessere della pianta, che si rifiuta di abbattere un albero senza un motivo valido e, nel caso, senza mutilarlo, rispettando anzi e valorizzandone la personalità, tenendo conto di architetture, tendenze di crescita, forme di invecchiamento, della natura del suolo e delle relazioni che la parte sotterranea, di volume pari o oltre quello della superficie aerea, intrattiene con quest’ultima.

Esser meticolosi, affinare tecniche di spostamento in chioma, salita veloce su corda, associando intuizioni e abilità, darsi tempo, conoscere e saper attendere il momento adatto per intervenire, calcolando traiettorie, cambio dei venti, va insieme, presuppone e incentiva una sensibilità aumentata a dismisura, più attenta, fatta della capacità di guardare i paesaggi da altri punti di vista, della gioia dell’arrampicare, del legame anche olfattivo con gli alberi, dagli aromi agrumati della tuia, al profumo sottile di miele e vaniglia del viburno tino. E sostenuta dalla scelta controcorrente, che non è un vezzo, di utilizzare al posto della motosega che lacera i tronchi, le varie dentature del taglio a mano di una chirurgica sega giapponese che trancia, senza scalfitture da rimarginare, nel silenzio concentrato, attento, ricettivo ad ogni sensazione, scricchiolio.

Tutto si tiene nella vicenda narrata da Karine, dalle vacanze con il nonno tra gli abeti nella valle di Chamonix, alla strada che per andare a scuola attraversava la foresta, fino poi anche all’apprendistato della vita in città, dove conoscere gli alberi per nome e capire la loro importanza nel contesto urbano “fa parte delle conoscenze da acquisire come le lingue straniere e la storia”.

Così, le esperienze nei progetti di conservazione ecologica, la mediazione tra interessi e punti di vista, l’insegnamento della potatura con attenzione ai cicli della linfa, in relazione con quelli della luna, il lavorare in proprio fino a essere ammessa nella cerchia dell’élite del mestiere, vanno insieme a conferenze, passeggiate esplorative, dimostrazioni di arrampicata, di potature di fruttiferi, all’impegno con associazioni civiche di protezione di tigli secolari, o delle siepi di alberi tipiche di alcuni paesaggi, contro incompetenza, perizie disinvolte, potature eccessive, alla realizzazione del suo parco alberato di liriodendri, salici piangenti, sommaci e sequoie, terreno di studio per verificare convivenze e incompatibilità di carattere, al salvataggio nel cortile di una scuola di una antica per quanto possibile in Europa sequoia gigante della California  (tra quelle arrivate qui soltanto a partire dal 1853, ma che nella originaria Sierra Nevada vivono ormai da oltre tremila anni). Ma anche al raccogliere a 60 mt di altezza nella foresta Nera gli strobili di alcuni esemplari unici di abeti di Douglas, da preservare riproducendoli, o allo spettacolo ideato nel 2005 per il Festival musicale nel parco di Vallon de la Dollée, con musicisti che si rimpallano note e canti su piattaforme tra gli alberi. Ancora, sempre alberi, con il loro universo di animali, uccelli, funghi. Alberi che raramente sfuggono al fatto d’essere considerati come il resto prodotti di consumo, percepiti nell’immaginario collettivo, volta a volta come presenze fedeli, date per scontate o minaccia, disturbo. Alberi che, quando malati, sono in realtà perlopiù maltrattati, disturbati nella loro architettura, nel loro habitus. E che vanno invece lasciati crescere, magari protetti e riconosciuti nei loro diritti in legislazione.

Karine Marsilly, La mia vita con gli alberi. Come si diventa un’arborista tree-climber, illustrazioni di Anna Regge, pp 171, € 18,50, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 44, Supplemento de Il Manifesto del 13 novembre 2022