Oltre il giardino del “populismo botanico”

Tra inedite anticipazioni di precoci, frenetiche fioriture, ma poi anche di fronte ai loro tardivi prolungamenti, e assieme ai posticipi nella perdita autunnale dei fogliami, le sfasature del ritmo tra quiescenza del riposo invernale delle piante e sincopate riprese stagionali è indice, anche in giardino, della confusione climatica incombente. Intermittenze che ci dicono di uno stato di allerta permanente, di poche regolarità. Di un giardino del domani che in un contesto repentinamente alterato deve misurarsi con l’impoverimento dei suoli, la mancanza d’acqua, il riscaldamento delle temperature e la loro accelerata variabilità. E deve quindi ricorrere a specie e tecniche adatte e adattabili alle vocazioni e ai limiti dei luoghi, in un accomodarsi senza fretta all’essenziale di interventi auspicabilmente ridotti, al più, orientando l’intrinseca mutevolezza del giardino. Oggi a maggior ragione.

Sul tema del ruolo che il giardino contemporaneo possa giocare nell’affrontare gli esiti del cambiamento climatico in atto sulla spinta del riscaldamento globale si interroga ora un grande vecchio del giardinaggio, Paolo Pejrone, nel suo I dubbi del giardiniere. Storie di slow gardening, a cura di Alberto Fusari, Einaudi, pp. 176, € 17,00. Per dire, nel suo procedere per interrogativi, piuttosto che non per certezze, per sperimentazioni che nella curiosità affinano la confidenza con le piante, che il giardino ha è può avere piuttosto, in una dimensione locale e diffusa, un effetto trasformativo nella presa di coscienza che impone, dato che è un campo di prova e uno spazio di osservazione privilegiato dove si è parte di un percorso condiviso, che a saper ben guardare ci insegna a ottimizzare risorse, evitare sprechi. A patto di sottrarsi all’imperante schizofrenia che in giardino oscilla tra gli estremi dello stupire a tutti i costi con l’eclatante e l’inusuale e d’altra parte tutto sopire con l’asettico stereotipato dominio del decoro.

Così, col passo lieve dell’esperienza che ha appreso a non prendersi mai troppo sul serio, Pejrone analizza buone pratiche e cattive retoriche.

Dichiarando la sua diffidenza verso un diffuso “populismo botanico” che procede per slogan, in una moda che propone di moltiplicare in città il numero degli alberi purché sia, trattandoli come insieme indistinto, senza seguirli nel tempo, con il rischio di destinarli a una vita di stenti, evidenzia la contraddizione tra un fare sostenibile e migliorativo di quanto c’è (e con il riscaldamento si affaccia) e un uso estremo e velleitario del verde che, oltre a mettere le piante in condizioni difficoltose (spesso con spese colossali), non rinuncia a progetti dove l’uomo (e la tecnologia) è ancora troppo spesso soltanto arbitro e manipolatore.

La via è quella di assecondare i processi di “tropicalizzazione” guardando alla lezione del giardino secco del Meridione e alla parsimonia delle sue piante, con l’uso di componenti vive, come la ghiaia con la sua porosità di spessori e tonalità diverse e dei muri a secco, nonché con gli accorgimenti che consentano l’accoglienza della vita animale che del giardino è parte integrante.

Assieme all’invito a operare per contaminazioni sulle variazioni (anche contro la filologia esasperata nella ricostruzione di giardini antichi, in epoca di cambiamenti del clima, tenendo conto del diffondersi globalizzato di malattie e patogeni), si propone un catalogo raffinato di specie rustiche e frugali. Piante … da abbandono, come phlomis, salvie, santoline, teucri, ispirate alla prateria, come gaure e perowskie, prostrate e profumate della macchia mediterranea, dal mirto al ruvido rosmarino e, a gruppi, vinche e noccioli.

Un insieme di riproposizioni (le screziature dell’aucuba, i pelargoni e i malvoni) e nuove proposte – che significherà quindi nuove estetiche da sperimentare – per traghettare in un clima in rapido mutamento il giardino del contemporaneo.

Paolo Pejrone, I dubbi del giardiniere. Storie di slow gardening, a cura di Alberto Fusari, Einaudi, pp.176, € 17,00, recensito da Andrea Di Salvo su Il Manifesto di sabato 11 settembre 2021