Il paesaggio… dalla parte del fuoco

Le Giornate internazionali del paesaggio
alla Fondazione Benetton

Fire Ring, spazio di aggregazione sociale progettato dalla paesaggista Robin Winogrond lungolago di Uster, Svizzera (das Bild)

Dopo le due ultime svoltesi online, ritorna in presenza a Treviso, presso la Fondazione Benetton la diciannovesima edizione delle annuali Giornate internazionali di studio sul paesaggio, dedicate in questa occasione a rileggerlo Dalla parte del fuoco. Analizzandone quindi Riti, visioni, pratiche di coltivazione nel paesaggio, come recita il sottotitolo. Ad articolare le diverse prospettive che vedranno confrontarsi sul tema geografi, vulcanologi, paesaggisti, botanici e forestali, ma anche antropologi, filosofi ambientali, registi e artisti sonori.

Specialmente alla luce delle urgenze poste dalla sempre maggiore consapevolezza delle ricadute dei nostri comportamenti sul pianeta, il fuoco viene indagato nelle sue molte declinazioni attorno al ruolo trasformativo che questo elemento da sempre svolge, di per sé e nelle invenzioni, nelle pratiche dell’uomo come nel suo nell’immaginario. Dall’arte del fuoco nascosto dei carbonai al ripristino sperimentale di sistemi piro-pastorali nell’isola della Riunione, recuperandone la funzione di catalizzatore della vita sociale, la forza ordinatrice, oltreché distruttrice, nel paesaggio australiano come in alcuni tornanti di svolta nella costituzione delle identità urbane, passando per la millenaria coevoluzione dei nostri paesaggi vulcanici.

Come sottolineano i curatori delle giornate, Luigi Latini, direttore della Fondazione Benetton, e Simonetta Zanon, responsabile ricerche e progetti, occorre ricollocare il fuoco nella discussione sul futuro della Terra, riconsiderandone il ruolo svolto da sempre e anche oggi, diversamente, con urgenza, nella gestione, cura e rinnovamento del paesaggio, “assumendo un nuovo approccio che si basi su un’idea di coesistenza e non su forme di contrapposizione. Ed è necessario promuovere questa vicinanza in termini di visioni progettuali e di cura capaci di tener conto dell’ecologia del paesaggio, recuperando in modo inventivo conoscenze e pratiche tradizionali”.

Intervista a Robin Winogrond

Seguendo un approccio ormai da tempo consolidato, le Giornate internazionali di studio sul paesaggio organizzate ogni anno a Treviso – siamo alla 19a edizione – dalla Fondazione Benetton, incrociando relazioni di taglio scientifico, riflessioni teoriche e esperienze di professionisti dedicate al paesaggio, si avvalgono però anche di una serie di interventi ibridati sul versante artistico.

Così, attorno al tema di quest’anno, Dalla parte del fuoco. Riti, visioni, pratiche di coltivazione nel paesaggio, oltre alla partecipazione del regista Carlos Casas, che tenterà di catturare in un suo viaggio audiovisivo le qualità atmosferiche del paesaggio del fuoco, o dell’artista sonoro basco Xabier Erkizia, che proporrà l’incommensurabile esercizio di ascolto di Un vulcano nell’orecchio, figurano interventi a cavallo tra sperimentazione artistica e progettazione del paesaggio

È il caso di Robin Winogrond,architetta paesaggista e urbanista, cofondatrice dello studio Vulkan con base a Zurigo e docente alla Harvard School of Design, nonché artista ambientale e autrice di installazioni che si misurano con giardini e spazi aperti pubblici.

Nella sua ricerca, avvalendosi anche di concetti guida come geografia dell’immaginazione e reincanto geografico (Alastair Bonnet), lei riserva un’attenzione particolare a cogliere la molteplicità di aspetti dell’atmosfera degli spazi sociali, scegliendo spesso di integrare nei suoi progetti l’esperienza del tempo che passa, come pure quella del senso del movimento, affinché divengano catalizzatori d’immaginazione.
A tal proposito cosa avviene con un elemento pervaso da una pluralità di percezioni e significati come il fuoco che è al centro di queste Giornate di studio?

È un punto interessante. Gli antichi greci parlavano dei quattro elementi naturali Fuoco, Terra, Acqua e Aria. Ciò che li accomuna è essere inafferrabili: non hanno un significato o un’identità visiva o spaziale fissa. Questa è la loro magia. Il fuoco ci ipnotizza, ci permette di perderci nel suo immaginario, di fissarlo per ore, senza nessun bisogno di parlare. È un materiale incomprensibile e crea immagini che non possiamo prevedere. È quindi un potente catalizzatore dell’immaginazione. Ci solleva da ogni necessità razionale di “fare” e ci permette, invece, di entrare nel regno dell’essere.

Come architetti del paesaggio abbiamo la fortuna di poter disporre di una tavolozza di materiali magici, ma anche insidiosi, nel senso che è difficile usarli nello spazio pubblico in modo compiuto, tale da far emergere la profondità del loro potere. Dobbiamo sempre fare attenzione a muoverci con leggerezza e a lasciare che sia il materiale a parlare, con l’accortezza di non esser direttivi nei nostri progetti, ma attenti a rendere questi materiali accessibili al nostro subconscio.

Con il suo contributo Falene attratte dalla luce. L’anello di fuoco come calamita sociale, lei illustra il suo progetto di un anello del fuoco di dieci metri che, tra le altre funzioni, ha quella di strumento attrattore, innesco di socialità. Può descriverci come funziona nello spazio pubblico e a quali modelli, a quali vissuti rinvia questo dispositivo?

L’Anello di Fuoco è intenzionalmente multicodificato nelle esperienze che cerca di far emergere da dentro di noi. Questo lo aiuta a sfuggire alle nostre menti razionali e ci permette di sperimentarlo più e più volte, per molti anni, senza avere quella sensazione di “l’ho visto, lo capisco, e né io né la mia mente abbiamo bisogno di tornar lì”. Il progetto opera su una varietà di livelli che parlano a diversi aspetti del nostro essere. Cerco di farlo il più spesso possibile nei miei progetti.

L’anello di 10 metri di diametro interpreta in modo nuovo il tradizionale falò. Basato sul “falò del cowboy” americano, questo Fire Ring di grandi dimensioni è uno spazio di aggregazione sociale sia per gli amici che per coloro che non si conoscono, che crea un senso di comunità su larga scala e al tempo stesso di calda intimità.

Il progetto risponde anche alla necessità sempre maggiore di sperimentare simultaneamente il proprio corpo, la cultura locale e gli stili di vita globali. La sensuale installazione in legno del Fire Ring sulla spiaggia del lago funziona come un enorme divano per i corpi nudi dei bagnanti. Nella cultura svizzera, la grigliata è uno degli sport nazionali più amati, praticato però soltanto tra amici e familiari. L’intervento la traspone in evento pubblico. Esprime allo stesso tempo la storia glaciale del sito lacustre, incorniciando le viste sui paesaggi circostanti e diventando in tal modo specifico per il luogo. Fornisce inoltre una collocazione per il dispiegarsi di una globale “cultura dell’evento urbano” della città.

Il luogo è molto frequentato dai giovani che, stando tra i loro amici si sentono parte di una comunità più ampia e si riuniscono con persone sconosciute, cosa praticamente estranea alla cultura svizzera.

Come convivono nello specifico del progetto, il dialogo e le relazioni legate alle particolarità di un luogo, alla sua dimensione pubblica, al suo paesaggio e quindi alla cultura che lo abita, interpreta, alimenta, con la dimensione assoluta, archetipica, scultorea – tra produzione di luce e ombre, calore, dimensioni magiche – propria del fuoco?

È una domanda meravigliosa. Proprio questa tensione costituisce il fondamento del progetto. La stessa forma archetipica, scultorea e circolare avvolge l’utente in molte storie o sensazioni, agisce come catalizzatore di molte immaginazioni, ma allo stesso tempo ha la capacità di creare vari significati all’interno di specifici contesti socio-culturali e paesaggistici.

La forma primordiale del cerchio esprime intrinsecamente un “incontro” di spazio, energia, concentrazione e percezione. Quindi questo anello di 10 metri di diametro ci dice immediatamente che è destinato a riunire. Segna inoltre un luogo specifico nel grande spiazzo destinato a prendere il sole. È una sorta di strumento di puntamento e diventa una meta, un luogo dove andare, incontrarsi. La sua forma circolare permette all’anello di stabilire un proprio indirizzo nel paesaggio urbano, se così si può dire.

A livello sociale, ha un carattere informale, come per un mobile da salotto gettato nel paesaggio. Gli svizzeri di solito non si mescolano con gli sconosciuti. Se si vuole grigliare da soli, ci si potrebbe sentire in imbarazzo a presentarsi in una delle postazioni vicine, occupandola in modo che gli altri non possano usarla. Ma proprio per le sue dimensioni, l’anello è ovviamente pensato perché molti possano abitarne lo spazio. L’atmosfera informale, da arredo gigante, del Fire Ring, invita a passare, sedersi per qualche istante o stare, vedere chi c’è, restare nei dintorni, fare un pisolino o una grigliata, e offrire qualcosa al vicino che non conosci. Accanto ai lunghi tronchi d’albero della forma principale, una serie di tronchi tagliati servono come tavoli o poggiapiedi, creano spazi più intimi per riunirsi in tanti piccoli gruppi. Così tanto il singolo che una compagnia numerosa si sentono egualmente benvenuti.

Infine, perfezionando la dinamica dei piccoli spazi, materiali e superfici diverse permettono di differenziare le consistenze e i livelli di comfort termico. In caso di falò o grigliate serali, l’anello di pietra funge da tappeto riscaldato sul terreno, uno spazio di calore dove, ancora molto tempo dopo il tramonto è possibile sdraiarsi in bikini sul terreno caldo.

Pubblicato da Andrea Di Salvo su Il Manifesto del 22 febbraio 2023