Piante illustrate e reinventate. Arte botanica

Prima ancora di precisarsi come genere o ambito a sé, l’illustrazione botanica, svolge a lungo, di pari passo con il perfezionarsi delle pratiche di identificazione e documentazione delle piante, la funzione di accompagnare e puntellare l’anelito classificatorio che fin dal XVIII secolo, nel quadro del dilatarsi di orizzonti e curiosità naturalistiche, anche per via dei nuovi viaggi di esplorazione, informa il definirsi della botanica come disciplina.

Frutto spesso di rilevazioni sul campo da parte di abili disegnatori in collaborazione stretta tra pittori e botanici, nonché di successive rielaborazioni e sistematizzazioni come materiali d’insegnamento o in vista di pubblicazioni complessive, queste raffigurazioni restituiscono variamente informazioni accurate, d’insieme e di dettaglio, focalizzando aspetti specifici, anatomici e funzionali o illustrando il progredire delle diverse fasi di sviluppo dei soggetti ritratti, dal seme al frutto.

In un inesausto operare per tentativi tra giardinieri e botanici, appassionati e collezionisti, finisce così per precisarsi un linguaggio condiviso di arte botanica immediatamente comprensibile, a vari livelli di approfondimento e per un pubblico internazionalmente diffuso.

Con esiti diversi, attitudine analitica e aspirazione per la catalogazione si combinano a curiosità, meraviglia, valenza conoscitiva del saper cogliere sinteticamente la varietà del reale.

Norma Gregory, Brassica oleracea L., acquerello su carta, Gold Medal, 2010

Narrazioni di grande raffinatezza, nell’impaginazione del soggetto come nella cura scientifica della resa dei dettagli, son quelle delle tavole realizzate dal pittore di talento Sydney Parkinson, che il grande naturalista e botanico inglese Joseph Banks invia nel Pacifico al seguito del primo viaggio di esplorazione dell’Endeavour, sotto il comando del capitano James Cook nel 1768.

A partire dagli schizzi rilevati sul campo, e ripresi poi come base di molte tavole realizzate al ritorno dai viaggi di esplorazione, con la regia di Alexander von Humboldt vengono messe a punto procedure che privilegiano una fitta integrazione di testo e immagini, verso la resa di quell’impressione totale che, collegando il dettaglio e l’insieme, ricerca relazioni. In una sperimentazione delle tecniche della rappresentazione delle piante che ibrida codici di saperi diversi verso una sintesi tra pensiero razionale, emozione, immaginazione, si arriva – assieme con disegni naturalistici, tavole di anatomia comparata, paesaggi geologici e idrogeologici, vedute pittoresche di paesaggi e carte geografiche – all’uso dei tableaux, sorta di riassunto grafico, sistema sinottico tra rappresentazione pittorica e elaborazione visiva dove, incorniciando figure e relazionandole a una serie di misurazioni e tabelle, vengono visualizzati un gran numero di dati raccolti, ordinati in una logica comparativa per ricercare e evidenziare rispondenze e analogie, interconnessioni tra i fenomeni.

Con Carl Friedrich Philipp von Martius, che esplora il Brasile dal 1817 al 1820, assieme ai Resoconti di viaggio lodati da Goethe per la qualità letteraria, e alla descrizione sistematica della Flora Brasiliensis, il risultato del tutto innovativo è una monografia che, a partire dall’esperienza diretta ma anche tramite lavori altrui, sistematizza le conoscenze del tempo su una famiglia specifica.

La Historia naturalis palmarum analizza “tutte le palme apparse sulla terra, quelle ancora viventi e le testimoni fossili”. Tre ponderosi volumi corredati da 240 litografie di grande formato saranno stampati tra 1823 e 1853 grazie a sottoscrizioni e prenotazioni in varie versioni, alcune colorate. L’immagine esatta della pianta e delle sue parti in prospettiva – con la composizione sinottica nella tavola delle relazioni tra i diversi elementi – arriva a includere il disegno “di paesaggio” di palme isolate (che invece raramente si presentano tali in natura) funzionale a farne risaltare la struttura, ma inquadrandola così nel contesto del suo habitat, si direbbe oggi.

Kate Nessler, Althaea rosea, Acquerello e matita su pergamena, 2003

Al di là del ruolo di supporto alla riforma della nomenclatura delle piante, le diverse rappresentazioni grafiche delle loro fisionomie si affermano in questi secoli come fonte diretta di studio. Imprescindibile, immediata integrazione visiva. Mentre dal punto di vista pratico, oltre a catturare l’interesse del lettore, servono a documentare varietà di frutti coltivati per la vendita, nonché come supporto per la commercializzazione di nuove piante da luoghi remoti.

Dando seguito a questa lunga tradizione di attenzione e sensibilità, un importante volume presenta ora una raccolta di alcune tra le più belle, recenti tavole premiate con la medaglia d’oro per l’illustrazione botanica assegnate da una delle più antiche e tutt’ora prestigiose istituzioni nell’ambito della ricerca botanica e del giardinaggio, la Royal Horticultural Society e conservate dalla Lindley Library: Illustrazione botanica, a cura di Charlotte Brooks Royal Horticultural Society-Guido Tommasi Editore, pp. 256, € 35,00.

Già nel 1806, un paio d’anni dopo la sua fondazione, la Società aveva cominciato a commissionare a illustratori e incisori assunti disegni e dipinti di specifiche piante.

 Tra i suoi consiglieri, sir Joseph Banks, Richard Salisbury e Thomas Andrew Knight, sempre al lavoro a stretto contatto con gli artisti, e, tra le prime immagini, quelle realizzate per illustrare una raccolta di articoli dei membri da William Hooker, celebre anche l’enorme Victoria regia (oggi denominata Victoria amazonica) fiorita per la prima volta nei giardini di Kew a metà 800.

Immagine tratta da Description of Victoria regia, or, Great waterlily of South America, 1847

E se durante i primi 50 anni si era così andato costituendo un corpus di oltre 2.000 dipinti, oggi la collezione della Lindley Library consta di circa 30 mila opere e comprende anche alcune immagini di giardini che si rivelano testimonianze tanto più preziose per ricostruirne lo stato dell’epoca.

Nel 1859, come risulta dal catalogo di vendita Sotheby’s, il materiale della Lindley e la collezione di disegni dovettero però essere venduti all’asta per raccogliere fondi per la Società, allora sull’orlo del dissesto finanziario.

Molti originali saranno poi recuperati nel corso del XX secolo, tra cui gli album di frutti di Hooker, nel 1926.

Tra lasciti, esposizioni, mostre competitive e nuovi acquisti – nel 1912 quello di 100 acquarelli botanici cinesi –, il patrimonio di album e disegni si andò ricostruendo malgrado gli impedimenti delle due guerre mondiali e il calo di considerazione per il montante ruolo della fotografia, dopo la seconda.

Con gli anni 60 si assiste però a un ritorno di interesse per l’arte botanica e negli anni 90, una nuova politica di acquisizioni sposta l’enfasi della collezione dai soggetti agli artisti, con maggiore attenzione a progetti e temi, finché una nuova ribalta dell’arte botanica si apre in questi ultimi vent’anni del nuovo millennio.

La selezione proposta nel volume da Charlotte Brooks, curatrice della collezione, testimonia anche di quanto questi riconoscimenti abbiano, nel tempo, fissato in certa misura un parametro di valutazione e dà conto specialmente di un recente ritorno in auge dell’illustrazione botanica, perfino in questa nostra epoca della fotografia digitale.

Al di là di una rassegna di testimoni insigni della storia di quest’arte – in gran misura, di talenti declinati al femminile –, il volume evidenzia e isola alcune tendenze e temi ricorsivi.

Per ritrarre e trasferire l’essenza di una pianta in un dipinto si assume così spesso un’angolazione insolita, oltre a forzare il confronto dei portamenti. L’esigenza di ridire i cambiamenti stagionali, che condiziona a dipingere nell’arco di più stagioni di crescita, si spinge fino a ritrarre soggetti in decadimento (Gael Sellwood), esemplari curvi e logorati in una sorta di Celebrazione dell’imperfezione, come recita il titolo di una serie di dipinti o come nel caso degli anemoni di Giulia Trickey, che ri disseminandosi, spiumano intorno i semi.

Un gruppo di dipinti è intitolato alle Infiorescenze, come quelle spumose, color champagne della olmaria raffigurata da Bernard Carter, o alle Piante con nomi di animali nel nome comune – la ligularia, in inglese leopard plant. La serie delle Piante parassite della regione di Città del Capo, dipinte a grandezza naturale per l’identificazione da Lynda de Wet, viene resa nella rispettiva gerarchia dei ruoli, con l’acquerello per la parassita Harveya capensis e in grafite per l’ospite, Centella asiatica.

Altre mostre a tema riproposte nel volume riguardano Aspetti dell’aglio o l’insolito Fascino delle radici, nel rabarbaro di Norma Gregory. Acquarelli di classici crisantemi giapponesi si affiancano a quelli di verdure, dal carciofo al cavolo, di cui si evidenzia rilievo e ravvicinata bellezza domestica, come per la cipolla tagliata di netto o la buccia srotolata della patata che vien mostrata pelata da Clare McGhee.

Se molto importante è, pressoché sempre, lavorare con materiale botanico vivente, le tecniche, oltreché a scelte di stile, si associano volta a volta a tipologie di soggetti e alle differenti esigenze di resa.

Dalla composizione tradizionale per elementi con sezioni trasversali e ingrandimenti, o secondo diversi angoli di osservazione in ragione di essenziali reinterpretazioni, magari in assenza di foglie e rami, per ottenere un’immagine più contemporanea, pulita. La scelta di scorcio e prospettiva per dare all’orchidea un aspetto naturale o la disposizione degli esemplari di Piccoli frutti estivi, ognuno accompagnato con un’ombra per accentuarne il rilievo e evitare che sembrino fluttuanti, posti uno vicino all’altro come appena raccolti, a confrontarli per dimensione, trama e forma.

La tecnica delle matite colorate, funzionale a ottenere tenui variazioni, ritorna popolare dalla metà degli anni 80 del 900, mentre è l’acquerello a catturare trasparenza e sugosità del limone in sezione di Annie Hughes, come le ghiandole dell’olio sulla sua buccia. E gli essenziali disegni a grafite son quelli che meglio si addicono alle Felci native del Peak District, con le fronde che si aprono man mano. Mirabile, la resa nel dettaglio degli aghi di pino o delle complesse venature e della trama delle foglie della Begonia masoniana di Sue Williams.

Alcune composizioni fanno un uso deciso dello spazio non dipinto della carta, utilizzato come colore di base per raffigurare fiori bianchi posti dinanzi a foglie scure (come la vaniglia imperiale di Lizzie Sanders). Meticolosi studi a penna con inchiostro vengono scelti per ritrarre esemplari imperfetti già citati, come li incontra Chatarine Nicholson, mentre colorazioni e venature della pergamena non trattata vengono incorporate nel disegno di Kate Nessler, nell’alcea con le foglie divorate, ridotte a scheletriche nervature. 

Così, tra riproduzioni che continuano a ispirarsi alla tradizione di fine 800, specialmente nella pittura di orchidee, e opere che si fanno quasi astratte, ispirate a sagome, forme e trame del mondo naturale, si gioca lo spazio dialettico tra creazione artistica e illustrazione naturalistica.

Con usi laterali che sempre più – e nuovamente – strabordano dimotivi floreali su piatti, decorazioni, arredi, stoffe, porcellane, cartoline.

Illustrazione botanica, a cura di Charlotte Brooks, Royal Horticultural Society-Guido Tommasi Editore, pp. 256, € 35,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIII, 39, Supplemento de Il Manifesto del 15 ottobre 2023