Alla Reggia di Caserta la grande mostra sui giardini. Frammenti di Paradiso

Jakob Philipp Hackert, Paesaggio con il Palazzo di Caserta e il Vesuvio, 1793, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Ancora, finalmente, una mostra sui giardini. Non che di recente non vi siano stati importanti episodi in tal senso. A Torino, alla Venaria reale, nel 2019 una grande esposizione assumeva il tema cosmopolita delle relazioni come innesco narrativo per proporre un Viaggio nei giardini d’Europa. Da Le Nôtre a Henry James.

Ora, in una contingenza particolarmente felice – e fortemente perseguita – che vede protagonisti il parco e la reggia di Caserta, un’operazione a tutto campo intitolata Frammenti di Paradiso. Giardini nel tempo alla Reggia di Caserta, a cura di Alberta Campitelli, Alessandro Cremona e Tiziana Maffei, propositiva  direttrice della Reggia, propone una lettura fortemente dialogica e accessibile della storia del giardino attraverso il prisma della loro rappresentazione (fino al 16 ottobre 2022, ma con in animo una proroga più che probabile).

Un ulteriore, non piccolo passo di un progredire, ancora a tratti a fatica, di attenzione – anche a livello istituzionale – per i giardini come snodo centrale dell’evoluzione del gusto.

Pur nel privilegiare il punto di osservazione e messa a fuoco costituito dai giardini del Parco reale della Reggia di Caserta, in particolare cioè nell’epoca e tramite gli stili del suo apogeo, tra il 700 e primo 800 delle corti, la formula scelta dai curatori mobilita l’intera messa a sistema della più recente ricerca degli studi sulla storia del giardino attorno all’evidenza di molti dei momenti e degli episodi salienti della sua vicenda – ruoli, simbologie, fasi e episodi, storie e protagonisti –, italiana e non soltanto (catalogo Colonnese editore, pp. 398, € 49, con saggi di bilancio ripensati perlopiù in stretta sinergia con le scelte espositive, ma che avrebbe meritato migliore qualità di stampa, evitando pagine raddoppiate e inversioni di immagini).

Spaziando così, a tratti ben oltre la penisola, si procede per via di collegamenti, digressioni e andirivieni, che ricomprendono precedenti, da metà 500, e sviluppi successivi, nella focalizzazione di temi e nell’individuazione delle testimonianze elette per illustrarli, coniugando notorietà dei prestiti con una ricca dotazione di oltre 150 opere tra dipinti, sculture, arazzi, oggetti d’arte, progetti, vedute, modellini, erbari, incisioni. A partire dalle diverse fisionomie dei giardini delle residenze borboniche illustrate nella prima sezione della mostra per il tramite di una ricca serie di progetti e vedute. Alcune, espressamente commissionate, talvolta previo approvazione reale del bozzetto – il caso del napoletano Salvatore Fergola, che nel 1827 ritrae la reggia restituendo rilievo al panorama, sullo sfondo del Vesuvio da San Leucio – altre raccolte a raggera, incastonate in miniature su avori, sul coevo tavolino meccanico di mogano, “alla foggia ercolanese”.

Centralità e rilievo della committenza della famiglia Borbone sono evidenziate, Carlo in primis – con le sue predilezioni botaniche, ritratto da Jean Ranc, raffigurato in apertura di mostra giovanetto nel suo studiolo, con in mano un gelsomino. Sempre in dialogo con la cultura giardiniera del tempo interpretata dal progettista Luigi Vanvitelli (poi dal figlio Carlo) nel suo ispirarsi alla precettistica più autorevole e affermata (Andrè Mollet, Antoine Joseph Dézallier d’Argenville) e ai diversi modelli dei giardini di rappresentanza, specialmente francesi. Poi, Ferdinando IV e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, nella fase che vedrà la realizzazione nel parco della reggia del Giardino inglese, progettato a partire dal 1786 con John Andrew Graefer. Espressione di una nuova sensibilità e della moda per l’informalità ricostruita del paesaggio. Peraltro presto divenuto anche luogo di acclimatazione per piante esotiche nonché di sperimentazione botanica, e ripetutamente ritratto e quasi all’origine dell’invenzione di un nuovo genere, come testimonia Jakob Philipp Hackert che più volte mette insieme nelle sue vedute motivi provenienti da lì con elementi di fantasia.

Se nel disteso processo di sviluppo dei giardini della reggia di Caserta vanno esprimendosi e convivono diversi elementi e tipologie, con l’imprescindibile riferimento ai modelli francesi e poi l’innesto dello spirito del giardino paesaggistico inglese, il retaggio di quelli della tradizione italiana meritava d’esser ripercorso nei suoi principali snodi, fin dalla metà del 500.

È quanto, sul crinale di un dialogo serrato con i suoi paesaggi propone la sezione dedicata a presentare Il giardino in Italia. A partire da quelli delle proprietà medicee elette a presidiare immaginari e territori, raffigurati nelle celebri lunette attribuite a Giusto Utens, come poi, a testimone dell’evoluzione del giardino barocco, con la Veduta di Villa Cetinale presso Siena di Monsù Giacomo.

Giusto Utens, Villa La Petraia, 1599 – 1603, Villa La Petraia, Firenze

Oltre a quelli delle maggiori dinastie della penisola, dai della Rovere ai Savoia, figurano gli episodi salienti della civiltà delle ville venete, con il giardino come elemento di mediazione con le ragioni del territorio, e una ricca, riepilogativa, ricognizione di testimonianze emblematiche di ambito romano tra secondo 500 e 800, dalla Veduta del Belvedere e dei Giardini Vaticani, del 1589 per i pennelli di Hendrick III van Cleve, a quella di Villa Mattei, dal monte Celio con rovine di Roma antica, del 1625 e attribuita a Joseph Heintz il Giovane, fino al quella del giardino della Villa una volta dei Cesi, nell’area degli Orti Sallustiani, in prossimità di Villa Ludovisi, ormai di impianto paesistico, secondo la moda, con piante esotiche rifacimenti di un tempietto in stile, raffigurata da anonimo di tardo 800.

Joseph Heintz il giovane, Veduta di Villa d’Este a Tivoli, 1625, Villa La Pietra, Firenze

Sempre romana, la Veduta del Tevere dal “porto della legna”, di Ripetta di Vanvitelli del 1685, con sullo sfondo della sponda animata, tra verde e ruderi, le icone di San Pietro e Castel Sant’Angelo e il portale monumentale del casino della cinquecentesca Villa Altoviti: una delle proposte più interessanti, nella mirabile sezione dedicata – tra fontane, canali, peschiere e orizzonti – alle molteplici relazioni tra acqua e giardino in quelli della penisola, tema tutto nelle corde della curatrice princeps Alberta Campitelli, anche per il rilievo che merita qui nelle molteplici sue declinazioni nei giardini della reggia.

Benedetto Caliari, Scena di approdo di un giardino di villa veneta, 1555 – 1575, Accademia Carrara, Bergamo

Oltre quella dell’acqua, che peraltro si ritrova in molte sale della mostra, si rivelano ricche di spunti e all’incrocio di fitte implicazioni molte delle scelte raccolte in quella dei Giardini come scenografia.

Dagli elementi del lessico che compongono e variano i giardini per tipologie, alle funzioni e occupazioni che diversamente li animano. Parterres, piattebande, palizzate, fontane, elementi topiati, gruppi scultorei, cedraie, portali, grotte, “cerchiate”, porticati di verzura, veri e propri “appartamenti verdi”, come nell’incisione acquerellata della Veduta della Palazzina di caccia di Stupinigi di Ignazio Sclopis, e ancora eremi, tempietti e varie fabbriche da giardino, come il Caffeaus del pontificio giardino al Quirinale di Francesco Panini, del 1785.

Giovanni Francesco Mingucci (attr.), Veduta di Villa Caprile, 1630-1640, Musei Civici – Palazzo Mazzolari Mosca, Pesaro

Scenografie, appunto per convivialità, feste, conviti, concerti, giochi, ritualità, tornei, festeggiamenti e nozze. Ma anche veri e propri palcoscenici per recite e spettacoli. E poi teatri d’acqua, di rovine, di verzura, come quello illustrato dal settecentesco Modello ligneo dell’anfiteatro di verzura e di fiori di Villa Bernardini presso Lucca, ma, anche, trasposizioni di giardini al chiuso: in un gioco di reciprocità fino a trasformate in “camere di verzura” sale dipinte a giardino”, com’è raffigurato nello spaccato prospettico di un disegno in mostra, relativo all’allestimento spettacolare di un banchetto in forma di giardino, probabilmente del Castello del Catajo.

Matthias Withoos (attr.), Villa Aldobrandini, 1648 – 1659, Museo di Roma, Roma

Ambientazioni effimere, allegoriche, mitografiche, in notturno. E immaginifici giardini d’invenzione. Come nel caso delle tre Vedute di fantasia con villa del primo Seicento attribuite a Francesco Mingucci, in particolare quella con padiglione di verzura sul poggetto; e, di Sebastian Vrancx, la Veduta fantastica con Villa Medici (1615) – luogo che avrebbe ispirato anche Claude Lorrain per una sua Veduta ideata di un porto con Villa Medici, sempre in mostra, nella sezione del giardino e l’acqua – o, ancora, il Capriccio con fontana di Nettuno in un parco, in risonanza, si propone, con l’istituzione di quello di Caserta (1756-1759), ad opera di Antonio Joli, capo scenografo e architetto del Teatro di San Carlo nel 1762.

Ludovico Pozzoserrato, Concerto in villa, 1690 – 1700, Museo di Santa Caterina, Treviso

Meno convincente il panorama restituito da alcune sezioni, come quella dedicata a Il giardino e il selvatico, dov’è quasi ridotto a spettacolo venatorio, teatro di caccia (bosco, barco venatorio, ragnaia), piuttosto che non al ben più complesso tema delle amministrate relazioni con il selvatico cui è intitolato. O alle proposte – malgrado la indubbia bellezza di alcune opere, come la serie di arazzi ricondotti alla manifattura di Cornelius Mattens intitolata ai Giardini raffiguranti episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio – che orbitano attorno all’immenso, scivoloso, soggetto dei Giardini e rappresentazione simbolica. Idealizzati, sempre evocati per forza di allegorie, tra virtù, significati religiosi e letture profane, del giardino d’amore, iniziatico, astrologico, scientifiche, risultando sempre troppo connessi alle diverse temperie culturali per poter viaggiare senza agganci ai contesti, assoluti.

Hackert, Veduta di Villa Albani nel paesaggio della campagna fuori Porta Pia,1779, Anhaltische Gemäldegalerie, Dessau-Roßlau

Infine, con oculatezza la sezione su Giardini e botanicarestituisce le varie forme di considerazione per il soggetto vegetale riflesse nel crescente interesse per le piante, tra disposizione artistica e nuova attenzione analitica. Dalle testimonianze di una nuova sensibilità naturalistica e relativi stilemi veicolata da importanti committenze e apparati iconografici della trattatistica, resa in mostra con il Narciso giallo e mantide religiosa di Jacopo Ligozzi, alle trasposizioni nelle allegorie dipinte delle stagioni con ghirlande e festoni di Pier Francesco Cittadini e, anche in scultura, con le statue di Primavera e Estate di Gian Lorenzo Bernini e figlio; fino alla tipologia floreale delle nature morte di impronte diverse, dalla connotativa relazione con il gusto per l’antico all’ibridazione con il contemporaneo genere dei capricci.

Pierfrancesco Cittadini, Allegoria della Primavera, 1650 – 1655, Galleria Estense, Modena

Così, complici anche la diffusione delle nuove conoscenze botaniche e la disponibilità di nuove specie esotiche, le mode floreali finiscono per riflettersi persino negli arredi – qui, la coppia di lampade di manifattura campana a forma di ananas, in bronzo dorato e cristallo molato –, mentre nel periodo barocco e rococò grande fortuna continua ad arridere alla floromania, con le nature morte di Gasparo Lopez, detto dei Fiori, come altre, fin nel titolo, ambientate in un giardino – e lo stesso vale per il Trionfo di fiori in un giardino di Michele Antonio Rapous, della seconda metà del XVIII secolo.

Malgrado questa spesso evocata restituzione di piante e fiori in contesto, cioè a dire nei giardini, e per quanto sia considerazione diffusa che essi siano testimoni dell’evoluzione del gusto, nel ripercorrere filologicamente letture e gusti coevi, è raro – e scarsamente indagato – il protagonismo dell’elemento vegetale in atto, dall’estetica di figurazioni e accostamenti alle pratiche, ai saperi, alle strumentazioni connesse alla coltivazione, al loro dialogo con gli altri soggetti e interpreti del giardino. Certo anche per l’approssimazione delle rappresentazioni, spesso stilizzate, e spia di una diversa considerazione, ancillare del rilevo del ruolo vegetale…. Che non è ormai più, però, quella della nostra attenzione d’oggi. Ma questa è tutta un’altra mostra a sé.

Jan Wildens, Attività in un giardino, 1614, Musei di Strada Nuova, Genova

Nel gioco di relazioni tra rappresentazioni del giardino e giardino reale, tra quell’artificio vivente e la sua trasposizione per via d’altri linguaggi artistici, procedere così per Frammenti di Paradiso evoca ad ogni passo un colloquio fatto di scambi, slittamenti, reciprocità, transfert che, in questo contesto espositivo, intrinsecamente legato al suo giardino e nella sobria eleganza del percorso espositivo ospitato in alcune sale di rappresentanza dell’appartamento della regina, di recente recuperate al suo Museo, si amplifica e si moltiplica, ogni volta che la ricchezza di impianto delle scelte in mostra entra in risonanza con la potente suggestione della prossimità, fuori dalle pareti, del Parco reale e, traverso gli affacci, della diretta relazione visiva con la sua scenografica Via d’Acqua.

Frammenti di Paradiso. Giardini nel tempo alla Reggia di Caserta, Mostra a cura di Alberta Campitelli, Alessandro Cremona e Tiziana Maffei presso la Reggia di Caserta, 1° luglio – 16 ottobre 2022, recensita da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 39, Supplemento de Il Manifesto del 2 ottobre 2022