Contaminazioni gesuite nel giardino cinese

Tra godibili digressioni erudite e complesse vicende di debiti e attribuzioni, ma con l’oriente sempre attento a cogliere e illustrare gli snodi rilevanti della non proprio risaputa storia delle relazioni tra giardino orientale e occidentale, tra Cina e Europa, muove la penna di un maestro come Luigi Zangheri conducendoci, da osservatori privilegiati, Nel Giardino cinese della Luminosità Perfetta (Yuan Ming Yuan), Olschki, pp. 234, € 38.00.

Facendo perno sul regno dell’imperatore Qianlong, che dal 1735 a fine secolo segna l’apogeo della dinastia Qing, e sulla sua figura di poeta e pittore, calligrafo e mecenate, accorto nell’uso politico della cultura e attento alla ricezione della sua immagine, raffinato collezionista e, oltre che stratega militare e protettore delle religioni tradizionali, costruttore di giardini e palazzi, Zangheri esplora la trama di scritti e testimonianze iconografiche sui giardini cinesi, pervenutici da parte delle poche figure europee attive in quella fase nel rarefatto sistema di relazioni con la Cina regolato dall’impervia etichetta di corte.

Matematici, ritrattisti, avventurieri, sacerdoti, spesso muovendosi nell’ambito della plastica, “tollerante”, strategia missionaria gesuita che intreccia abilità artistiche e competenze matematiche, cartografiche e astronomiche, perizia meccanica applicata all’uso e alla costruzione di strumenti per indagare la natura (già con l’inizio del 600 si diffonde in Cina la predilezione e il collezionismo di orologi, pendole, carillons e automi), costituiscono un canale di pressoché esclusivo tramite e contribuiscono all’apertura dell’Occidente alle culture non europee e alla diffusione dell’inclinazione e del gusto della cineseria. Da l’Essai sur l’Architecture Chinoise inviato nella seconda metà del XVIII secolo in Franciadai gesuiti accreditati presso la corte imperiale per illustrare leggi e regole dell’architettura tradizionale, parametrando secondo il rango anche padiglioni, ponti, chioschi, fino alle acute descrizioni dei giardini cinesi di Matteo Ripa, per quanto rimaste inedite e quindi sconosciute al dibattito sul giardino paesaggistico che intanto imperversava in Europa (con Addison, Pope, Walpole, Temple), e ancora alla “ammirevole varietà, … il bel disordine e la naturale asimmetria” nei giardini, evidenziata nelle lettere del gesuita pittore alla corte di Qianlong, Jean-Denis Attiret pubblicate a metà 700.

E tra questi tramiti, dettagliatamente descritte e commentate al centro del ricco corredo del volume, spiccano le venti incisioni raffiguranti i Padiglioni europei, detti anche Palazzi occidentali (Xiyan Lou), progettati e costruiti su ordine e precise indicazioni dell’imperatoree realizzati, sotto la direzione dei gesuiti Giuseppe Castiglione, quanto all’architettura, e Michel Benoist, per idraulica e giochi d’acqua in tre fasi distinte, tra il 1747 e il 1783, nell’angolo nord-est del Giardino dell’Eterna Primavera (Changchun Yuan), nello Yuan Ming Yuan.

I giardini dei Padiglioni europei spiccano così come una sorta di enclave all’occidentale nel cuore dei giardini imperiali, e nell’ambito della concezione che, intendendoli come centro politico e culturale, dispositivo di meditazione e governo del Regno di mezzo, ne fanno un universo in miniatura, dove in un labirinto di laghi, colline, vallate e pianure, sono raccolte e idealmente rappresentate con le loro architetture tradizionali le nove regioni e i quattro mari della Cina, nonché gli edifici dei paesi tributari del Celeste impero.

Con effetto spiazzante, le tipologie architettoniche del giardino della cultura europea finiscono allora per sporgersi proprio sull’ambito e nel perimetro di un giardino diverso in tutto da quello occidentale, un giardino naturocentrico, dove, evitando ogni disegno e regolarità, la maniera di disporre laghi e colline, alzare le montagne, comporre con le pietre, insomma, l’artificio del ricreare la natura, viene occultato in un apparente disordine che, con semplicità e naturalezza, integra recinzioni in muratura, pavimentazione dei suoli, edifici, belvederi, balaustrate, templi.

È in questa cornice estetica e linguistica che nei Padiglioni europei convivono in eclettica commistione – misurandosi anche con elementi decorativi cinesi – un labirinto e una voliera, una moschea e un teatro, fontane zampillanti e specie vegetali e arboree modellate secondo l’arte topiaria di un giardino formale all’europea, qui a opera di Pierre Nicolas Le Chéron d’Incarville, sulla base delle indicazioni codificate da Antoine Joseph Dezallier d’Argenville. Nonché, poi, gli edifici destinati a accogliere i doni ricevuti dagli ambasciatori degli stati europei e gli arazzi tessuti nella manifattura di Beauvais inviati da Luigi XV di Francia. E ancoro, costruttivamente favoleggiando, un Osservatorio dei Paesi lontani, e perfino la fantasmagorica figura in tensione di una Collina della Prospettiva, con annessi obelischi.

Se nel cuore del complesso dell’Antico Palazzo d’Estate di Pechino e dei suoi enormi giardini – che, per inciso, verrà poi saccheggiato e pressoché distrutto durante la Seconda guerra dell’oppio dalle truppe anglo francesi nel 1860 1860 (con l’unica, sdegnata reazione di condanna in Europa per la penna, dal suo esilio in Belgio, di Victor Hugo) – i Padiglioni europei risultano perciò estravaganti occasioni di incrocio e interazione tra Oriente e Occidente, testimoni dell’intreccio di suggestioni e transfert per la cultura del giardino e del paesaggio, le splendide incisioni che li ritraggono, e che sono tra le fonti principali della storia del giardino orientale del Settecento, meritano attenzione, ci si segnala, oltre che per il soggetto raffigurato, per la scelta nel modo di farlo.

Proposte come sono, secondo i principi di una straniante, per certi versi, qui, prospettiva lineare di tipo occidentale. Quella appresa dall’autore dei disegni, il pittore manciù Yi Lantai, alla scuola guarda caso del gesuita Giuseppe Castiglione, che della costruzione dei Padiglioni europei era stato regista per conto dell’imperatore. E assunta, per quanto nel quadro dei sistemi di rappresentazione orientale e maneggiata ancora parzialmente, come strumento interpretativo imprescindibile per progettare e restituire mondi, fondativa e consustanziale di una visione, di una cultura intera.

Luigi Zangheri, Nel Giardino cinese della Luminosità Perfetta, Olschki, pp. 234, € 38.00,  recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica X, 43, Supplemento de Il Manifesto del 1° novembre 2020

Yi Lantai, Osservatorio dei Laghi Distanti