Le giardiniere anglosassoni

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Women-GardenersETS_Viride_Andrea-DI-SALVO-708x1024.jpg
Ancora si aggiungono tasselli all’aspirazione di ripercorrere al femminile una storia del giardino capace di restituire la misura e le specificità delle sue protagoniste, creatrici, studiose, progettiste, giardiniere, divulgatrici. Diversi in tal senso i tentativi, specialmente sul 900 quando si afferma lo statuto disciplinare dell’architettura del paesaggio, in particolare in ambito anglosassone, in una prospettiva di storia di genere e ormai anche connettivamente globale. Con ricognizioni affatto diverse nel taglio e respiro, come quelle dello scorso anno, dell’Università di Harvard su
Women, Modernity and Lanscape Architecture a cura di Sonja Dümpelmann e John Beardsley, a tutto campo su esperienze dagli USA al Canada, da Brasile, Nuova Zelanda, Sud Africa, ex Unione Sovietica ai paesi europei, o di ben altro tipo di approccio, quello, perseverante fin dal titolo, riservato da Heidi Howcroft alle First Ladies of Gardening (ovviamente, quello inglese).
Pur sempre prime donne sono anche quelle ora convocate a ricomporre una storia sui generis del giardino e della sua progettazione negli ultimi due secoli da Paola Fanucci, nel suo Women Gardeners. Stivali, penne e pennelli di giardiniere appassionate, prefazione di Lucia Tongiorgi Tomasi, Edizioni ETS, pp. 206, € 18.00. E pur sempre appartenenti alla cultura anglosassone, per quanto l’autrice rilevi specificità e interrelazioni tra giardiniere statunitensi e del Regno Unito. Ma qui soprattutto raccontate con un ampio ricorso documentario a illustrazioni e foto di cui si evidenzia il rilievo di strumento espressivo e progettuale, restituendo la trama di nessi tra le diverse fasi del contesto storico e gli ambiti culturali di provenienza e configurando così il volume come una sorta di accessus di genere ad alcuni significativi capitoli e classici snodi della storia del giardino.
A partire dal precisarsi con la metà dell’800 di un’attenzione scientifica per la botanica e poi dal suo dispiegarsi pratico e divulgativo con Jane Webb Loudon e il suo Gardening for Ladies (1840). Riccamente illustrato a documentare nuove tecniche, strumentazioni, abiti (occasione tra le altre di emancipazione) per quel giardino per nuove classi sociali che torna a regolarizzarsi in un disegno geometrico ma anche a riempirsi di fiori secondo le regole del giardino vittoriano. E per percorrere poi, in contrappunto ai rapidi cambiamenti della rivoluzione industriale e dei conflitti mondiali, le successive diverse rivisitazioni naturalistiche del cottage garden, da Gertrude Jekyll a Vita Sackville-West e nella versione pop di Margery Fish (nel paradosso di una sempre stretta interazione virtuosa con l’impostazione formale assicurata da collaboratori uomini – Edwin Lutyens, per la prima – e mariti). Nella profusione di scelte botaniche che virano all’autoctono, come nella sensibilità ai cromatismi, complementari, monocromi o di più “emotive” predilezioni; nel graduarsi di riletture in chiave anglosassone della lezione dei giardini formali “italiani”, tema di un dibattito che intreccia il filo con le protagoniste d’oltreoceano a partire da Edith Newbold Jones Wharton. In un contesto dove per il giardino e il paesaggio si va affermando uno specifico ruolo e rilievo e dove la relativa formazione specialistica si apre anche al mondo femminile (è dei primissimi anni del 900 la fondazione della Lowthorpe School of Landscape Architecture, Gardening and Horticulture for Women). Qui, segnate da un’eclettismo pratico lasciano il loro segno personalità come Beatrix Cadwalader Jones Farrand, con importanti incarichi professionali, dal giardino della Pierpont Morgan Library di New York fino ai giardini della Casa Bianca e a quelli di Dumbarton Oaks a Washington, residenza dei collezionisti e bibliofili coniugi Bliss o, con la sua estesa sensibilità culturale e artistica, Rachel Lambert Mellon.
Al di là di figure privilegiate e escluse, un’altra serie di preziosi tasselli, in attesa di una rilettura complessiva di una storia sociale del giardino che, sulla scorta di questo ampliamento di prospettiva al femminile, andando anche oltre il protagonismo delle personalità di prima fila e allargando lo spettro delle fonti, affianchi alla dimensione culturale, estetica, del gusto, quella della diffusione delle pratiche, dei vissuti, che lo vedono microcosmo all’incrocio di saperi, occasione di ricezione e rilancio di modelli, valenze e proiezioni ideali, organismo sociale in divenire.

Paola Fanucci, Women Gardeners. Stivali, penne e pennelli di giardiniere appassionate, prefazione di Lucia Tongiorgi Tomasi, Edizioni ETS, pp. 206, € 18.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VII, 1, Supplemento de Il Manifesto dell’8 gennaio 2017