Andrea Wulf, ossessione inglese

Botany, Empire and the Birth of an Obsession recita nell’originale il sottotitolo de La confraternita dei giardinieri (Ponte Alle Grazie, pp. 426, € 22,50) dove Andrea Wulf racconta il montare, appunto, della vera e propria ossessione giardiniera che nel volgere di nemmeno un secolo, il settecento, si accese nel corpo della società inglese finendo per permearne tratti fondamentali della fisionomia. Se all’inizio del secolo i giardinieri inglesi imitavano lo stile continentale in giardini “smorti e desolanti … per almeno cinque mesi l’anno”, mentre la confusione regnava nella nomenclatura delle poche piante autoctone prima della diffusione delle esotiche e il primo esperimento di ibridazione destava nel suo stesso artefice, il vivaista Thomas Fairchild (1716), reverente timore per aver dimostrato che anche le piante si riproducono sessualmente, già nell’anno successivo alla pubblicazione del suo Systema Naturae (1735) Linneo riteneva di doversi recare a Londra per perorare l’accoglienza del suo sistema di classificazione proprio nel “paese che stava diventando il più importante mercato d’Europa nel campo della floricoltura”. Era lì che Philip Miller capo giardiniere del Physic Garden, l’orto botanico di Chelsea, aveva da poco (1731) dato alle stampe il suo Gardeners Dictionary, manuale sistematico di grande successo, dalle molte ristampe, dove, rivolgendosi in un inglese piano ad un pubblico di là della cerchia dei collezionisti facoltosi, finalmente si analizzavano con approccio scientifico aspetti pratici del giardinaggio. Era da Londra che il collezionista di piante Peter Collinson, mercante di tessuti e membro della Royal Society, intratteneva con il suo fornitore di semi e piante dal nord America John Bartram quella fitta corrispondenza che per decenni avrebbe reso disponibili per sé e altri collezionisti sottoscrittori quegli arbusti e alberi che in grande quantità avrebbero modificato il panorama inglese (nonché dato impulso ad un serio vivaismo). E proprio il diffondersi di quelle specie “resistenti”, provenienti dal nord America, in grado di acclimatarsi in Inghilterra anche fuori dalle serre, sarà alla base del successo del giardino di Robert James Petre, la sua “foresta americana”, Thorndon, con più di 200.000 piante esotiche, dove forme e motivi del verde erano ora ricreati utilizzando le caratteristiche stesse degli elementi naturali: portamento e struttura degli alberi, texture di cortecce, toni del fogliame… delle varietà di nuove conifere e di caducifoglie provenienti dal nord America con le loro inedite colorazioni autunnali, arbusti da bacca o a fioritura precoce, … “Con l’aiuto di Miller e Collinson, Petre smantellò gradatamente le regole sulle quali si basavano i giardini barocchi”. E con ciò, passando davvero speditamente oltre e accanto Kent e Capability Brown, la Wulf restituisce i termini della vera e propria rivoluzione colturale e botanica che si pone a fondamento dell’affermarsi del giardino all’inglese (presto esportato oltremanica) e ripercorre le tappe del diffondersi in tutti gli strati sociali della passione nazionale per il giardinaggio. Ossessione pervasiva, con la sempre maggiore disponibilità di piante e con oltre 200 vivai nella sola Londra di fine secolo, testimoniata dall’organizzazione di escursioni botaniche nei parchi come dal diffondersi di motivi floreali negli abiti e nell’arredamento, dall’uso di affittare piante in vaso per le occasioni conviviali, dalla pubblicazione di opuscoli e almanacchi botanici da tasca a buon mercato come pure del primo periodico divulgativo dedicato alla botanica e al giardinaggio (dal 1787, The Botanical Magazine), nonché dal successo di pubblico fin tra gli appassionati di romanzi popolari del poemetto ispirato al sistema di classificazione sessuale linneiana e intitolato a Gli amori delle piante da Erasmus Darwin, traduttore altresì dal latino in neobotanico inglese del Systema Naturae, che dedica a Banks, nonché nonno di Charles.

Andrea Wulf, La confraternita dei giardinieri, Ponte Alle Grazie, pp. 426, € 22,50, recensito da Andrea Di Salvo su Alias domenica, Supplemento de Il Manifesto del’8 gennaio 2011