Italo Calvino paesaggista involontario

Tenendosi alla larga dalla perniciosa tentazione di applicare indistintamente la categoria interpretativa omnibus di «paesaggio» all’analisi critica di un universo fantasmagorico com’è quello dell’opera di Italo Calvino, sempre risospinto nell’orbita di un’incessante, inesausta tensione sperimentale, è con le lenti a focali multiple del paesaggista che Fabio Di Carlo, studioso e docente di Architettura del paesaggio dalle molte curiosità e competenze di confine, procede con passo attento e originale nell’investigare, appunto, dei Paesaggi di Calvino (Edizioni Librìa, pp. 143, € 15): ne rilegge le specificità, ne evidenzia componenti e declinazioni ne ripercorre le tracce, nonché il multiforme riverbero sul pensiero e su molte idee chiave della cultura del paesaggio, fin sul più recente dibattito. paesaggi di italo calvino_Vìride_andrea_di_SalvoDi Carlo costruisce la sua ricognizione come un ipertesto di citazioni e commenti, affiancando i frequenti passaggi dall’andamento speculativo a interventi spesso paratestuali di un Calvino uomo altresì di editoria e di forte attenzione al lettore, al progetto, nella dimensione editoriale come in quella letteraria. Sottolineando con la nozione di progetto, anch’essa certo a forte rischio di indeterminatezza, un concetto per tanti versi «ponte». Così, evidenziando volta a volta lessico, temi e prospettive, nella prefazione alla nuova edizione dei Sentieri dei nidi di ragno, si esplicitano la costruzione per omissioni e preferenze e la scomposizione di un essenziale paesaggio identitario; qui ancora narrato seppure trasfigurato nella resistenza, quindi evocato come «spiegazione generale» nei passi da autobiografia familiare de La strada di San Giovanni.
Così, si segnala come argomentando sotto lo pseudonimo di Tonio Cavilla, nella Presentazione de Il Barone rampante per un’edizione nella collana Letture per le scuole, Calvino parli di «ri-invenzione d’un paesaggio attraverso la composizione, l’ingrandimento, la moltiplicazione di sparsi elementi di memoria». Spazi esatti, esatta capacità di osservazione, occasione per il protagonista Cosimo di farsi ante litteram paesaggista in azione di un’ideale Repubblica d’Arbòrea. Così, poi della descrizione del giardino de La speculazione edilizia (1956-57), in una tensione proto ambientalista. Fino a evidenziare l’analisi tecnicamente minuziosa della lettura dei giardini giapponesi nei reportage raccolti da Calvino in Collezioni di sabbia, o il rilievo delle considerazioni sulla dimensione temporale inscritta in ogni Ipotesi di descrizione di un paesaggio.
Di Carlo procede nella sua navigazione bordeggiando tra una serie di esempi di descrizioni botaniche «ad alta definizione», arrangiando e attualizzando le categorizzazioni che ricombinano Le città invisibili. Città di acque e canali, della dispersione, tra “zuppe di città” e paesaggi dello scarto, ma anche, utopicamente, città della rigenerazione. Seguendo in soggettiva Palomar nel suo scrutare ravvicinato per scomposizioni e classificazioni come nella sua riepilogativa visione dall’alto. Fino a rileggere le proiezioni sulla dimensione paesaggistica dei valori delle Lezioni americane
Insomma, sottolineando in quell’approccio al paesaggio la precisione analitica di lettura degli elementi assieme al suo farsi sguardo profondo, sintetico e sinestetico, l’invenzione di tratti salienti in paesaggi volta a volta fisiognomici, metaforici, simbolici o figurali, poi matematici, geometrici, cibernetici, viepiù astratti. Insomma, e variamente, in una lettura transdisciplinare che è un modo ulteriore per proiettare oltre lo sguardo – e il progetto, un Calvino irriducibile paesaggista «involontario».

Fabio Di Carlo, Paesaggi di Calvino, Edizioni Librìa, pp. 143, € 15, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica, IV, 2, Supplemento de Il Manifesto del 12 gennaio 2014