Giardino-anamnesi nel Canavese

Così come accade di piantare per un tempo e un qualcuno che ci trascende alberi che impiegheranno poi molti decenni per diventare quel che la loro ghianda promette, così accade si scriva oltre sé stessi, magari l’ennesimo resoconto della vicenda del proprio giardino; vero e proprio genere narrativo del cui diffondersi è opportuno chiedersi il perché. Tra le molte risposte, l’anelito di fissare in scrittura come complemento dell’attività giardiniera proprio il rispecchiarsi reciproco, in natura e nella nostra esperienza, del trascorrere delle cose. In una continuità e comunanza di perdita e rigenerazione che, facendo risuonare la nostra anima come parte “dell’anima del mondo”, evidenzia il valore trasformativo di una intravista «complicità tra giardino e tracciato della vita». E forse del suo racconto.
Così, anche ispirandosi alla lezione analitica di Hillman, Maria Adriana Giusti Burbatti ripercorre a ritroso su più piani la storia del suo parco con verziere (NaturaLmente Giardino, pp. 190, Pendragon, € 16,00). Una sorta di oasi che dal lago di Montalto sale fino in cima alla collina da dove si traguarda l’incombente castello medievale, non lontano da Ivrea, nel Canavese, immersa in un paesaggio di vigne e pergole sempre più spesso dismesse, aspro, spigoloso, schivo fin nei caratteri che lo abitano. Un parco che l’autrice progetta e realizza in un lungo arco di stagioni, con il suo bagaglio da architetto, specialista di restauro di giardini, e in dialettica serrata con il marito psichiatra e, all’occasione, “giardiniere psicoterapeuta”. Un luogo dove tornare, recuperando tracce e eredità del vissuto, per reinterpretarlo, inscrivendovi nuovi significati. Ritorno a un luogo che è anche “ritorno alla campagna”, nella consapevolezza della confusa girandola di significati appioppati a questa nuova etichetta-utopia. Stretta nello spazio asfittico tra “sfida” e ripiego “di lusso” dall’assenza di ogni politica capace di ripensare un nuovo rilievo per l’agricoltura innestando virtuosamente recupero e sviluppo delle coltivazioni, cura e presidio del territorio e del paesaggio in una dimensione praticabile e non residuale. Un ritorno che è quindi anche un’anamnesi a tratti sociologica, generazionale, che qui si intreccia alla descrizione del parco, delle suggestioni rilevate dal paesaggio, al racconto degli elementi compositivi enucleati e privilegiati, alle metodologie, ai ripensamenti delle diverse fasi di realizzazione del progetto. In un disegno complessivo che, articolando variamente terrazzamenti e soste, vigne e giardino, sentieri e bosco; ritagliando platee, esedre vegetali e cannocchiali visivi; addensando segni, temi, figure e nuove denominazioni, riconnette alla risalita dall’ombra alla luce le trasparenze dal folto del cammino alle prospettive aperte. Percorso creativo e esistenziale assieme dove giardino e vita interiore, mutualmente rifluendo, si riverberano e si confermano.
Che se ancora con Hillman «il giardino è metafora della nostra psiche, con il suo delicato e sapiente intreccio di selvatico e di controllato, … la ricchezza e complessità, data dall’intreccio dei sentieri, dall’alternarsi di prati fioriti e alberi verdeggianti, dalla vitalità di fontane e cespugli colorati», ne discende, sempre parafrasando, che l’anima va coltivata come si coltiva un giardino e che coltivare un giardino è come coltivare l’arte di vivere.

Maria Adriana Giusti Burbatti, NaturaLmente Giardino. Il verziere di Montalto Dora, pp. 190, Pendragon, € 16,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IV, 5, Supplemento de Il Manifesto del 2 febbraio 2014