La pubblicazione e diffusione scientifica dell’enorme mole di campioni e di dati, specialmente botanici, raccolti nel corso del suo lungo e avventuroso viaggio nei mari del Sud da un giovanissimo ma già affermato naturalista, Joseph Banks, tardava a tradursi in volume ancora molti anni dopo il suo acclamato rientro in Inghilterra, nel 1771. E ciò, malgrado le insistite sollecitazioni nientemeno che dell’inventore del sistema di nomenclatura binomia con il quale da allora si aspirava a mettere ordine nella natura delle cose. Prima che i tarli o il fuoco rischiassero di divorare quegli esemplari unici, Linneo non si stancava di perorare la causa della loro pubblicazione per il tramite del suo migliore allievo, lo svedese Daniel C. Solander, che di Banks era stato compagno in quella mitica impresa.
Salpati a fine agosto 1768 sul brigantino a palo «Endeavour» al comando del capitano James Cook, dopo tre anni nei quali avevano circumnavigato il globo, scoprendo en passant e cartografando nuovi possedimenti da rivendicare all’impero britannico, erano tornati in patria con un bottino di 30.000 esemplari di semi e piante essiccate, tra le quali 1.400 specie sconosciute nel Vecchio Mondo, destinate, tra l’altro, a ibridare lo stile dei giardini del tempo.
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Anno: 2017
Giardini del fantastico tra fumetti, fantasy e horror
Per quanto onnipresente e pervasivo, il fitto dispiegarsi di presenze vegetali che costituisce il presupposto e ordisce la trama della nostra vita sulla terra, anche negli scenari più minerali e artificiali sfugge perlopiù alla nostra percezione consapevole, scivolando come elemento neutro sullo sfondo.
Eppure quanto sia insistito e pervicace il reticolo di interazioni, pratiche e simboliche, che alle piante ci lega lo dice il proliferare di molti, spesso dotti, repertori che queste relazioni inseguono in ponderose anamnesi mitografiche o cosmologiche, genealogie, tassonomie, proiezioni letterarie, rispecchiamenti artistici, rilievi morfologici.
Ad essi, si aggiunge ora con tocco lieve e ampiezza di spettro di analisi, il volume dedicato ai Giardini del fantastico. Le meraviglie della botanica dal mito alla scienza in letteratura, cinema e fumetto, da Pier Luigi Gaspa, Giulio Giorello (Edizioni ETS, pp. 304, € 38.00) che, spingendosi anche nei campi della cultura popolare, dalla fantascienza all’horror, evidenzia il ruolo protagonista giocato dalle piante, funghi e licheni inclusi, nella circolarità trans mediale di generi, dal romanzo ai cartoni animati, dalle serie tv ai videogiochi.
Che si tratti di piante comuni, che improvvisamente si rivelano però, in una prospettiva horror, terribili minacce vegetali come nel classico La piccola bottega degli orrori di Roger Corman (1960); o invece rivestano funzione oracolare, come la Grande zucca attesa da Linus dei Peanuts (cocomero nella localizzazione italiana) o il Daucus carota dell’omonimo racconto di Hoffmann. Oppure di specie reali, seppur straordinarie – dal vischio del Ramo d’oro alla magica radice che ha ispirato La mandragora, da Machiavelli a Lattuada (1965), da Shakespeare a Brecht –, oppure ancora fantastiche, come quelle tutte lapis e parole, dai nomi e comportamenti bizzarri, inventate da Leo Lionni nel suo trattato di inesistente Botanica parallela, fino alle piante che appaiono fantastiche magari soltanto perché sconosciute, ad esempio agli occhi degli esploratori di nuovi mondi.
Si procede enucleando motivi ricorrenti per seguirli poi nel loro carsico riaffiorare tra generi e autori, trasposizioni e remake. Dal tema delle piante come innesco e destinazione di tante famose metamorfosi che coinvolgono anche animali, come le anatre vegetali, o l’agnello, sempre vegetale della Tartaria, che dai testi medievali ritroveremo negli albi di Paperino; a quello delle piante gigantesche come nel serial fantascientifico Trees e già in Avatar, con l’albero casa e gli altri del pianeta Pandora.
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Per i giardini di Roma. Raffaele de Vico
Il segno discreto che il pervasivo operare di Raffaele de Vico come “consulente artistico per i giardini di Roma” imprime sulla fisionomia del verde in città lungo l’ampia prima metà del secolo scorso si dispiega a contrappunto con la vicenda eccezionale del suo sviluppo urbanistico, dove proprio alla questione del verde spetta un ruolo di rilevante comprimario. Da capitale in assestamento dell’Italia giolittiana, poi, con il governatorato e le varianti urbanistiche, sempre più perno del progetto mussoliniano di una Grande Roma interprete di un’italianità perfino imperiale, fino al suo protendersi, oltre la vacanza della guerra, negli esiti delle sistemazioni a verde dell’EUR di parte di quanto immaginato per l’esposizione dell’E42.
Pur senza troppo indagare sui nessi che legano quell’operare con il contesto culturale – dal quale peraltro l’uomo si tiene perlopiù discosto –, è paradossalmente proprio dalla puntuale analisi documentaria squadernata dalla monografia che ora Ulrike Gawlik dedica a Raffaele de Vico. I giardini e le architetture romane dal 1908 al 1962 (Olschki, pp. 442, € 48.00), che sulla mappa della città in divenire si conferma fitta l’incredibile ampiezza e continuità di quel suo intervento. Leggi tutto “Per i giardini di Roma. Raffaele de Vico”
Terapie ecologiche per un mondopaesaggio
Come in una sorta di coreografia che sulla pelle del pianeta insegue e anticipa l’idea che la ispira, le pratiche di “cura della terra” che coltivano di preoccupazioni e gesti l’esile cotico del nostro suolo tradiscono e rivendicano l’esigenza profonda di un nuovo modello per la vita a venire – sociale sì e pure esistenziale, estetico –, l’humus che in tanti ambiti matura di un’etica nuova, ecologicamente fatta di consapevoli, paritarie relazioni con il contesto biosociale che ci permea, tanto da farsi nuova condizione culturale, mondopaesaggio.
Indagano le molte facce e tracce originali di questa attitudine mentale, le molte sue applicazioni nel mutato contesto di dilagante globalizzazione, i contributi, pure diversi nel taglio, raccolti ora nel volume Curare la terra. Luoghi, pratiche, esperienze, a cura di Patrizia Boschiero, Luigi Latini, Simonetta Zanon, euro € 22,00 pp. 225, Fondazione Benetton Studi Ricerche-Antiga Edizioni.
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La città dei giardini chiama a raccolta la politica
La sensazione di temporaneo sollievo, di tregua dalla tenaglia del calore e dello smog che subito si avverte passeggiando lungo un’alberata o entrando nel giardino di una villa, specialmente nelle nostre città dove sempre più si va concentrando la maggioranza della popolazione, rende immediatamente evidenti anche ai nostri sensi quella serie di dati statistici che da tempo ripetono alla nostra ragione i costi che ogni giorno scontiamo per carenza di investimenti in giardini e spazi verdi. Costi, per difetto di intervento, che ci gravano in termini sociali, ambientali ed economici, di surriscaldamento e inquinamento, costi che investono la salute e il ben essere. Leggi tutto “La città dei giardini chiama a raccolta la politica”
Le “familiarità” di Von Humboldt
La dismisura del personaggio è tutta nel resoconto del profluvio di materiali sbarcati nell’agosto 1805 al ritorno dal suo viaggio di esplorazione e osservazione scientifica durato oltre cinque anni. In una sorta di ingresso trionfale, il trentacinquenne Alexander von Humboldt riportava dal Sud America bauli zeppi di taccuini, schizzi, annotazioni geologiche, zoologiche, meteorologiche, nonché 60.000 esemplari di piante, di 6.000 specie diverse e di cui almeno 2.000 sconosciute in Europa.
Ora, pure nell’ansia di presto ripartire, si trattava di riordinare le idee. Elevando a metodo quella meticolosa tendenza alla misurazione comparativa che sempre, a ogni passo delle sue esplorazioni, lo portava a risalire dal dettaglio al contesto. Ricercando connessioni tra gli elementi, “familiarità”, piuttosto che non singoli dati, campioni, o pur tassonomie. Nell’intuizione di un universo come sistema dinamico, “insieme vivente”, in una catena di interrelazioni dove tutto si tiene, a precisare una nuova, per allora del tutto inedita, anche se oggi per noi patente, interpretazione della natura. Da catturarsi e comprendere con il “pennello largo” che combina (via Blumenbach e Schelling) pensiero razionale e emozione, immaginazione. Leggi tutto “Le “familiarità” di Von Humboldt”
Robert Pogue Harrison. Il giardino senza l’Eden
In un attraversamento tutto irregolare di forme storiche e simboliche, suggestioni poetiche e etiche in atto dove, nell’immaginario occidentale, i giardini “figurano” i bisogni umani più profondi, Robert Pogue Harrison sintetizza mirabilmente la condizione del nostro stare al mondo, proprio esemplandola sui giardini: nell’irresolubile dialettica tra interno e esterno; irricevibile promessa di felicità o impraticabile aspirazione alla sua riconquista; sottrarsi in fuga alla realtà o farsene presidio, occasione di disvelamento, riumanizzazione.
Opportunamente riproposto da Fazi, Giardini. Riflessioni sulla condizione umana (traduzione di Marianna Matullo e Valentina Nicolì, pp. 245, € 20.00) sottolinea come, diversamente da quelli fantastici, ultramondani, assoluti da ogni causalità, temporalità e corporeità, nonché esiliati dal resto del mondo, i giardini reali, e pur letterari, nel loro non potersi esimere – anche in figura di remoto romitorio – dal farci i conti, con il mondo, nascano e esistano in ragione del lavoro dell’uomo, conservandone l’impronta nel segno della cura. E come essi, proprio nell’intrinseco loro tessuto di relazioni da coltivare, meglio evidenzino nella cura – in quell’insopprimibile bisogno di dedicarsi a qualcosa fuori di sé, estensione nel mondo, culturalmente intesa – la vocazione e il tratto dominante della condizione umana che si fa. Leggi tutto “Robert Pogue Harrison. Il giardino senza l’Eden”
Stefano Mancuso e l’intelligenza delle piante
È un difficile ribaltamento di prospettiva quello cui vorrebbe indurci l’instancabile pedagogia a tutto campo del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, che di recente si è proposto perfino nelle vesti di cantastorie del mondo osservato e vissuto dal punto di vista delle piante sul palcoscenico di un insolito spettacolo di letture, immagini e musica intitolato Botanica. L’universo vegetale tra scienza e musica (con il collettivo musicale dei Deproducers, coprodotto da Aboca), in un tour che ha preso avvio in primavera all’Auditorium di Roma e sta riscuotendo un significativo interesse di pubblico (il prossimo spettacolo, il 22 luglio a Firenze in piazza della Santissima Annunziata, www.labuonapianta.it).
Jardins, in mostra al Grand Palais, a Parigi fino al 24 luglio 2017
Per risalire le ragioni degli ideatori della mostra Jardins, a Parigi alle Gallerie nazionali del Grand Palais fino al 24 luglio, e del perché scelgano di praticare l’ibridazione tra giardino e museo, occorre tenere bene a mente alcune premesse (sviluppate in vari saggi del catalogo a cura della Réunion des musées nationaux, in particolare da Guy Tortosa e Monique Mossier)..
Ininterrottamente in divenire, eppure effimeri, restii a lasciar traccia conservabile di sé, come pure irriducibili a un’autorialità singolare, esito come spesso sono di mani e competenze diverse e di una firma congiunta con la natura, i giardini stentano a farsi strada nel sistema delle arti, dei saperi e del loro costituirsi e depositarsi in tassonomie disciplinari, corpora documentari, paradigmi e strumenti analitici. Non appartenendo al mondo degli oggetti finiti, inscritti nel flusso del tempo e nel corpo con cui li abitiamo – attori e spettatori immersi nella simultaneità sensoriale e nelle risonanze che innescano intorno e dentro di noi –, vivono assieme il doppio regime di opera d’arte intrasportabile e luogo dell’opera, dove convergono e sono integrate funzioni diverse, lo statuto del reale del sito e quello della sua rappresentazione.
La sfida è allora quella di un’esposizione impossibile, sulla rappresentazione del giardino come forma d’arte …totale. E ciò a fronte del paradosso di un’attenzione ancora scarsa al tema dell’arte dei giardini, pur nel fiorire negli ultimi decenni di manifestazioni ad essi intitolate, assumendoli a pretesto, perlopiù, di retrospettive o messe a fuoco di momenti chiave della storia della pittura (2016 alla Royal accademy), dove il motivo passepartout convoca un’onnipresente ricchezza di motivi, iconografie, interpretazioni.
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Ville medicee con giardini. Tra corografia e celebrazione
La serie di ‘ritratti’ su tela in lunetta delle ville medicee – e, indissolubilmente, dei loro giardini –, che il granduca Ferdinando I commissiona nel 1599 per decorare la villa di Artimino, si colloca saldamente a cavaliere tra intervento celebrativo e corografica intenzione documentaria.
Ciascuna veduta restituisce a colpo d’occhio, secondo una prospettiva a volo d’uccello ma con credibilità topografica, la fisionomia delle diverse proprietà di famiglia – quelle più rappresentative del prestigio dinastico e della presa sul territorio – e tutte assieme incorniciano la politica ferdinandea di riordinamento e governo di luoghi e attività, dalla disseminazione di monumenti pubblici al sostegno ai santuari mariani riformati, dalle opere di bonifica al sostegno dell’indagine scientifica e delle accademie, dal collezionismo alle arti applicate.
La vicenda delle lunette, destinate a decorare la sala maggiore della villa, detta anche La Ferdinanda, e solitamente attribuite al pittore fiammingo Giusto Utens, viene ora indagata nella sua genesi e evoluzione – con le battute d’arresto, le diverse riprese, la dispersione, le perdite, fino alla ricollocazione, dopo il restauro, nell’altra villa medicea, La Petraia (Villa Artimino è ora privata) – da una pubblicazione a cura di Cristina Acidini e Alessandra Griffo che mette l’accento su L’immagine dei giardini e delle ville medicee. Nelle lunette attribuite a Giusto Utens, Edizioni Polistampa pp. 168, € 30.00. Con un ricco apparato di tavole d’insieme e di dettaglio e un regesto documentario con materiali inediti e indicazioni puntuali sugli interventi di restauro. Leggi tutto “Ville medicee con giardini. Tra corografia e celebrazione”