Egittologi verdi

Era dedicato ai giardini dell’antico Egitto il primo capitolo del volume con cui Marie Luise Gothein fondava filologicamente nel 1914 lo studio della Storia dell’arte dei giardini (finalmente tradotto in italiano presso Olschki nel 2006); così pure, sullo stesso momento fondativo, per quanto con ben altro approccio e molti anni dopo, si soffermava l’antropologo inglese Jack Goody nelle sue analisi comparative alla ricerca delle origini e delle forme di una Cultura dei fiori (Einaudi 1993, esaurito e che occorrerebbe ristampare): nelle pagine dedicate a La valle del Nilo. E non v’è dubbio che sulle sponde del fiume e dei canali che spartiscono l’aridità del deserto si fondino in una millenaria vicenda alcuni degli stilemi del giardino che a lungo si ritroveranno nelle epoche successive. Luogo separato dal disordine esterno tramite un muro di cinta, dove l’ingresso è sottolineato da un passaggio architettonico; spazio strutturato attorno a un bacino centrale rettangolare o a T, spesso ribassato, abitato da piante acquatiche e da volatili, circondato da piantumazioni ospitate in buche profonde tanto da attingere l’umidità, riempite di limo e contornate da muretti con funzione di contenimento delle acque. Preoccupazione idrica ricorrente che se ordina assialmente il giardino a seguire i canali di irrigazione, tenderà poi al raddoppio con un secondo asse perpendicolare negli sviluppi successivi del modello del giardino quadripartito mediorientale. Descrive ora e utilmente argomenta forme e fasi del precisarsi di questa tipologia e del rilievo del giardino nella società egizia (di cui pure parlano gli oltre 1500 termini del suo lessico botanico) il volume di Silvana Cincotti e Andrea Ghisolfi, All’ombra della dea del sicomoro. I giardini nell’antico Egitto, Ananke-edizioni, pp. 192, € 17,50. Con una mirata focale egittologica, ma anche con un’attenzione per le forme vegetali presenti nei giardini egizi, nelle loro valenze botaniche, funzionali, simboliche, l’analisi è condotta sulla base dell’incrocio delle diverse fonti disponibili, dalle iscrizioni alle tavole d’offerta, dalle testimonianze su papiro ai sigilli, dai più diversi esiti delle scoperte archeologiche fino alle cosiddette “case delle anime”, modellini di abitazioni con giardino, completo di piante e laghetti, inseriti nel corredo funerario con l’aspirazione di assicurarsi il godimento eterno di un mondo ordinato e rassicurante. Seguendo un approccio tipologizzante, l’esposizione procede ridisponendo i giardini come associati alle principali categorie architettonico insediative (giardini dei templi, delle tombe, giardini d’uso, giardini delle residenze private), in un andamento che rischia talvolta di penalizzare l’immediata comprensione dello sviluppo del tema, nel gioco dei condizionamenti di aspetti politico istituzionali, economici, nonché dei relativi riflessi socio culturali e religiosi. E delle diverse funzioni cui i giardini sono chiamati nella società egizia testimonia l’ampiezza e la varietà semantica dei termini – ripercorsi da presso nel volume – che li evocano nelle fonti, dal verziere, legato al tempio o al palazzo reale, ricco di alberi da frutto, al Punt, parte del coltivo destinata ad accogliere gli alberi per l’estrazione della mirra e dell’incenso, fino al bosco sacro o allo spazio d’acqua che per estensione vale il giardino attorno alla vasca. A raffigurarci ambiti che vanno dal giardino di utilità e di piacere al giardino funerario dei templi e delle sepolture, comprendendo valenze economiche, simboliche, d’individuazione di prestigio e status (dov’è titolo la varietà delle piante presenti), religiose. Fino al ruolo, seppur brevemente svolto, di cornice ideale, luogo protetto e scenario letterario per incontri d’amore.

Silvana Cincotti e Andrea Ghisolfi, All’ombra della dea del sicomoro. I giardini nell’antico Egitto, Ananke-edizioni, pp. 192, € 17,50, recensito da Andrea Di Salvo su Alias  della Domenica 14, Supplemento de Il Manifesto dell’8 aprile 2012