Attualità pioniera dell’architettura sociale del paesaggio

La rivisitazione, a più riprese in questi ultimi anni, della figura della paesaggista Maria Teresa Parpagliolo, risulta sempre occasione eccentrica per ripercorrere la trama di contraddizioni – dove pure visse immersa – che dal ventennio fascista alla ricostruzione post bellica e fino agli anni 70 caratterizzano il contesto italiano relativamente alla riflessione sul ruolo del giardino e sulla pratica della sua progettazione, con annessi ritardi e timide aperture a esperienze d’oltralpe, distrazione e condizionamenti della politica e di interessi speculativi.

Autodidatta irregolare e curiosa, formatasi oltre i prescritti percorsi accademici, tra archeologia, letture, viaggi, passione per il disegno e per le piante, e affrontando le restrizioni di ruolo imposte al femminile, nel suo percorso testimonia della progressiva presa di consapevolezza del mutare del quadro sociale, di stili di vita che implicano nuovi tipi di spazi, occasioni diverse di stare all’aperto e in contatto con la natura. E dei primi tentativi in tal senso di riorientare il gusto nel pur complesso rapporto con la crisi di una tradizione classicista del giardino italiano riverberata nelle declinazioni identitarie (e fin nella scelta delle piante), memorialistiche, nazionalistiche del fascismo.

Un percorso che muove in un andirivieni di riflessioni e esperienze, di ripensamenti che tornano oltre la linearità che spesso gli si attribuisce. All’apprendistato di alcuni mesi a Londra nello studio di Percy S. Cane, che prefigura le molte, successive frequentazioni di studi e consessi all’estero, segue, dal 1932 al 1937,l’insegnamento presso l’importante scuola per giardinieri del governatorato di Roma e poi l’impegno con il servizio parchi e giardini dell’E42, per quanto inizialmente la Parpagliolo vi fosse stata chiamata “soltanto” per la sua conoscenza delle piante e per seguire l’allestimento della prevista Mostra del Giardino Italiano.

Nel frattempo, in più di 120 articoli scritti a partire dal 1930, quando subentra nella rinnovata redazione di Domus, chiamata da Luigi Piccinato e Giò Ponti a occuparsi con una rubrica fissa della sezione dedicata al giardino, e fino al 1938, la Parpagliolo propone a un ampio pubblico consigli pratici su scelta e cura delle piante nei giardini, nell’orto, sulle terrazze, nonché riflessioni su moduli e tipologie di spazi aperti.

Parpagliolo, Patio_della sede RAI,_foto Nicolini

In particolare dal 1937, contribuisce con Pietro Porcinai alla Campagna per il verde voluta da Giò Ponti, individuando sulla rivista questo come tema di grande rilievo, specialmente in ambito urbano.

Sottraendosi a ogni idea di monumentalità, suggerisce invece “comodità necessarie per la vita all’aria aperta, viali ombrosi, riparati dai venti, prati soleggiati, aiuole, orto, tutto facilmente accessibile” e riserva grande attenzione agli elementi dell’ambiente naturale, alle sue dinamiche, da conoscere ed entro cui inserirsi.

Con il dopoguerra, all’estero e in Italia sarà la parte progettuale ed esecutiva a prendere il sopravvento in tante realizzazioni note, dal Cimitero militare francese di Monte Mario, al Patio della nuova sede RAI di viale Mazzini, dal Parco dell’Hotel Cavalieri Hilton a Roma ai giardini Fondazione Agnelli a Torino alla sperimentazione di nuovi modelli abitativi in quartieri residenziali prototipo come Casal Palocco e Olgiata, realizzati per conto della Società Generale Immobiliare a Roma e dove prevale un eclettismo a tratti felice per quanto nel solco evidente degli interessi orientati alle convenienze della committenza.

Nello scandagliare gli scritti della Parpagliolo in relazione serrata con l’analisi di una rappresentativa selezione di suo progetti, Cristina Imbroglioni insiste ora nel suo volume Non è cosa facile creare con arte un giardino. Maria Teresa Parpagliolo (1903-1974), sull’attualità per tanti versi anticipatrice di tematiche predilette e praticate: dalla protezione e tutela del patrimonio ambientale al ruolo del paesaggista, e di un suo auspicato, specifico percorso di formazione, capace di interconnettere competenze tecniche e sensibilità ambientale, ragioni funzionali ed estetiche (Quodlibet, pp. 208, € 20,00). Dalla protezione e tutela del patrimonio ambientale – una sensibilità ereditata dal padre, Luigi Parpagliolo, alto funzionario delle Antichità e Belle Arti, tra i promotori delle Leggi per la protezione del Paesaggio in Italia – al ruolo del paesaggista (e di auspicati, specifici percorsi di formazione, capaci di interconnettere competenze e sensibilità ambientale, ragioni funzionali ed estetiche).

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Viatico, volendo ulteriormente attualizzare, per interrogarsi sul rilievo, tutto sempre ancora da scoprire degli ambiti di intervento di una architettura sociale del paesaggio dove si è convocati a immaginare – ancora oggi sì, troppo spesso soltanto per differenza – una critica radicale a un modo di abitare il mondo che mercifica natura ed esperienze. Da intendere come ininterrotto innesco progettuale di un interattivo coinvolgimento in forme nuove di coesistenza con gli altri protagonismi del vivente, a partire da una ritrovata consapevolezza della comune dimensione, costitutivamente relazionale.

Cristina Imbroglioni, Non è cosa facile creare con arte un giardino. Maria Teresa Parpagliolo (1903-1974), Quodlibet, pp. 208, € 20, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XV, 40, Supplemento de Il Manifesto del 5 ottobre 2025

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