Il culto di Flora, levatrice e Mater florum


Che si tratti dei fiori delle piante necessarie a sfamarci o di quelli che confortano di colori e profumi sensi e immaginario, il momento delicato del loro sbocciare e dispiegarsi ha da sempre meritato particolare attenzione.

Così, nel già ricco pantheon degli dei romani spetterà a Flora la missione di favorire, al momento opportuno, e proteggere le fioriture. Con il potere che, dopo averla rapita e poi però anche sposata, le conferisce Zefiro, vento primaverile. Insomma, levatrice, Mater florum, come nel racconto dei Fasti di Ovidio in dialogo con la dea.

Spetta ora a Lorenzo Fabbri, storico delle religioni del mondo classico attento alle valenze religiose anche della dimensione botanica, restituire a Flora la sua composita fisionomia, nonché precisare tempi, caratteristiche e funzioni del suo culto. Per poi seguirne le tracce nell’iconografia, antica e più recente, nelle numerose, diverse rivisitazioni, da Botticelli a Poussin, al preraffaellita Waterhouse (Mater florum. Flora e il suo culto a Roma, Olschki, pp. 280, € 30,00).

Evocata dunque in relazione non tanto con la fecondità dei campi, quanto con il regolare compiersi delle fioriture in vista di raccolti fruttuosi, Flora non limita il proprio intervento alla primavera cui spesso è accomunata. Ma, scavalcando la singola stagione, presiede ai diversi cicli di sviluppo delle specie vegetali. Anche se vede poi col tempo associarsi alla preponderante dimensione agraria delle origini del suo culto – quella della fioritura di campi e frutteti – un complementare accentuato rilievo della componente legata ai fiori ornamentali.

Divinità romana, per quanto condivisa con alcune popolazioni italiche, e scevra di presunte paternità greche, con il raffinarsi dei costumi, per Flora si vanno accentuando tratti di bellezza e leggiadria, in una sorta di slittamento dalla sfera di Cerere a quella di Venere, per venire associata – anche nelle critiche antipagane, contro rituali licenziosi e variopinte ghirlande – a un più ampio sentire teso al godimento della bellezza, del piacere dei sensi, della giovinezza. E certo virano in questa direzione i rituali dell’importante festa pubblica a cavallo di aprile e maggio, i Floralia a lei intitolati, con pratiche intese anche al divertimento del popolo: giochi teatrali e mimi con la partecipazione di prostitute, assieme alle sparsiones di legumi da parte dei magistrati e alle cacce di animali domestici nel Circo Massimo.

Se il suo tempio, eretto sulle pendici dell’Aventino a seguito di una grave carestia, avrà certo meritato le decorazioni del corinzio – come sosteneva Vitruvio che illustrando gli ordini architettonici convenienti ai templi delle varie divinità prevedeva per Venere, Flora, Proserpina lo stile fiorito –, la nostra Mater florum non risulta per altro verso direttamente collegata a nessuna particolare varietà vegetale.

Anche se è lei a popolare di colori una terra fin lì monocroma, col frutto della nascita, spesso metamorfica, di nuove specie, da Giacinto, Narciso, Croco, Atti e Adone e, a dire della dea nel racconto di Ovidio, propiziando con un fiore perfino il concepimento di Marte.

Lorenzo Fabbri, Mater florum. Flora e il suo culto a Roma, Olschki, pp. 280, € 30,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IX, 40, Supplemento de Il Manifesto del 13 ottobre 2019